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 - Ayrton Senna
















La grandezza di un pilota è misurata anche dal livello dei suoi avversari.

Alcuni piloti nel corso della loro  lunga carriera hanno gareggiato contro alcuni tra i piu' grandi campioni
di tutti i tempi e, assieme a loro, hanno scritto le pagine più belle e incredibili della storia delle competizioni.
 E' importante sottolineare che molti piloti  si sono confrontati con generazioni di piloti diverse
e su mezzi diversi: nei lunghi anni di attività hanno "battagliato" con campioni al termine o agli inizi
 della carriera, e con altri che hanno vissuto con loro  l'intero periodo agonistico.



GP San Remo 1937: Achille Varzi alla partenza
su Maserati 4CM
 








1937: Il primo Circuito di San Remo vede vincitore Achille Varzi su Maserati


STORIE DALLA STORIA

26 maggio il giorno nero degli Ascari

Padre e figlio, due grandi campioni, stessa età, morti nello stesso giorno a trenta anni di differenza


Antonio Ascari aveva solo 36 anni quando perde la vita sul tracciato di Montlery, mentre era al comando della gara, il Gran Premio di Francia, 
il più importante della stagione. La prima affermazione arrivò nel GP d’Italia del 1924, vinse anche nel 1925 a Spa
ed era considerato uno dei più forti piloti della sua epoca.

Alberto Ascari nasce nel 1918, in luglio, il 26 maggio del 1955 ha 36 anni, come suo padre Antonio, è cinque volte campione d’Italia, 
due del Mondo e ha già corso al volante di Alfa Romeo, Maserati, Ferrari e Lancia. Ha vinto anche numerosi trofei, 
tra cui la Coppa Trofeo Nuvolari della Mille Miglia del 1954, la Coppa vinta al Nurburgring il 29 luglio 1951 su Ferrari 375 F1 
e la Coppa conquistata a Silverstone il 20 agosto 1949 su Ferrari 125 F1.


AVUS




LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

F1 - 1959 Avus GP - Hans Hermann accident

Hans Herrmann - BRM P25 Hans Herrmann: la foto è stata scattata
durante il Solitude Revival del 2011

Il primo Gran Premio di Germania si tenne sul circuito dell'AVUS l'11 luglio 1926, sotto una forte pioggia, e fu vinto da Rudolf Caracciola su Mercedes-Benz; la corsa fu funestata da vari incidenti con morti e feriti: il più grave coinvolse il pilota Adolf Rosenberger, la cui automobile piombò sulla struttura in legno dei segnalatori di gara, uccidendo tre dei cinque occupanti.

Il Gran Premio si disputò una seconda volta sul circuito tedesco nel 1959, per la prima volta dopo la nascita della Formula 1, e in quell'occasione il podio fu monopolizzato dalla Ferrari, con la vittoria di Tony Brooks e i piazzamenti d'onore di Dan Gurney e Phil Hill.

Il pilota francese Jean Behra morì in una gara di contorno al volante di una Porsche RSK uscendo di pista alla curva sopraelevata
.


 La rivalità tra Tazio Nuvolari e Achille Varzi
Nuvolari e Varzi. Centinaia di episodi sono stati scritti e narrati per raccontare le gesta
 di questi due amici-rivali dell'automobilismo ante guerra .
Migliaia di persone si sono letteralmente spellate le mani per applaudirli al loro passaggio in corsa.

La rivalità tra i due ha il suo apice nel 1933, a Monaco. Per tutto il Gran Premio Nuvolari, su Alfa Romeo, e Varzi,
su Bugatti, si alternano alla testa della corsa. I due percorrono addirittura fianco a fianco l’intero penultimo giro finché,
 nell’ultima tornata, Achille riesce finalmente a prevalere.

Il 29 giugno 1936 la «Gazzetta» organizza il circuito di Milano. Cinquantamila persone, giunte da ogni parte con i «treni popolari», affollano il parco milanese, dove è stata tracciata una spettacolare pista. Nuvolari è al volante della fedele Alfa Romeo, Varzi guida una tedesca Auto Union. Alla partenza (foto) Varzi balza al comando della corsa, ma alla fine vincono il coraggio e l'irruenza tradizionali del mantovano. Nuvolari ha già 43 anni e i polmoni minati dai gas di scarico che è costretto a respirare. E un crudele destino attende «Nivola»: i suoi figli Alberto e Giorgio moriranno di malattia a soli 18 anni di età.




La convivenza dei piloti nei team

La storia insegna che Jean Todt decise una Dakar con una monetina. è il sogno di tutti i direttori sportivi quello di avere il controllo totale del team decidendone bello e cattivo tempo. Tuttavia, se in squadra vi sono due grandi campioni, allora non esistono più gli ordini di squadra, e se ci sono, o i driver, generalmente per calcolo, scelgono di obbedire, oppure potranno ignorarli, in virtù del proprio talento.

Lo dimostra la storia. Per primo, pensiamo al periodo in cui nell'Alfa convivevano Nuvolari e Caracciola. La casa italiana, desiderosa di premiare Caracciola per la sua disciplina e per mostrare al mondo che l'Alfa poteva vincere indipendentemente da Nuvolari, decise che doveva essere il fuoriclasse tedesco ad aggiudicarsi il gp di Monza del '32. Ma il mantovano volante se ne infischiò dell'ordine di squadra.
Di recente abbiamo avuto la vicenda Alonso-Hamilton con due Paesi, Spagna e Inghilterra, pronti a schierarsi dalla parte dei rispettivi campioni. In pochi sanno che quella storia ebbe tra le varie antesignane di lusso, la grande rivalità tra Moll e Varzi, guardacaso due piloti opposti tra loro, come lo erano lo spagnolo e l'inglese che hanno coabitato in McLaren nel 2007. L'uno, Guy Moll veloce e spregiudicato. La cui assenza di limite derivava dall'immensa bravura. L'altro, Varzi, uno stilista dalla guida pulita.
Moll contro Varzi, ossia Francia (Moll era algerino, all'epoca colonia francese) contro Italia. Luogo della contesa: la squadra Alfa con direttore sportivo un certo E. Ferrari. Anno, 1934. è noto che la polemica esplose feroce a seguito del Gp di Tripoli di quell'anno, quando Moll accusò Varzi di scorrettezza: da lì una polemica che ebbe protagonisti i giornali specializzati di Francia e Italia. Ferrari ebbe la possibilità di intervenire sulla polemica punendo Moll ed estromettendolo da diverse corse. Ma la situazione era più subita che gestita e la cosa non fu poi un male, se pensiamo ai duelli entusiasmanti che ne vennero fuori.
Un'altra storia che val la pena di ricordare è quella di Fangio e della Ferrari. Il Maestro arrivò a Maranello (nel '56) pretendendo, e ottenendo, lo status assoluto di prima guida. Ciò gli fu concesso da Ferrari controvoglia e unicamente perchè il campione argentino gli serviva per tornare a vincere. Il resto del team fu quindi messo al servizio di Fangio. Ma Collins, che a Monza lasciò l'auto all'argentino non fu forzato da nessuno a far quel che fece. Lo decise Lui. Gli inglesi dicono lo fece per cavalleria. Vero, ma verso chi? Verso Fangio? Forse, ma era più che altro deferenza. Probabilmente, il vero gesto di rispetto fu verso Ferrari. Eh sì, perchè se Fangio non fosse uscito vincente da quel mondiale si sarebbe scritto che la Ferrari non era stata all'altezza del grande campione. Ci fu anche un calcolo di Collins? Sapeva che Ferrari, dopo quel gesto sarebbe stato legato da una sorta di "debito" nei suoi confronti? Forse, ma non lo credo. Fu vera cavalleria, ma più che verso Fangio, verso Ferrari. Ma fu anche deferenza, probabilmente verso entrambi i citati. Tutto questo per dire che più che l'ordine possono la personalità e il carisma. E se dietro al volante della Ferrari non ci fosse stato un professionista britannico col senso dell'onore, ma un pilota con personalità di fuoco, questi non si sarebbe fermato cedendo l'auto al rivale. E altrettanto, se dall'altra parte non ci fossero stati la personalità e il carisma di Ferrari e Fangio .. penso che Collins non avrebbe ceduto il mezzo, forse nemmeno sotto minaccia.
La legittima aspirazione di due grandi piloti,in coabitazione in un team, di vincere è stata limitata solo dal senso dell'onore, dal rispetto o dalla deferenza dell'uno verso l'altro, quasi mai da un ordine. Fu il caso di Stewart e Cevert o di Villeneuve e Scheckter. La prima la storia di un maestro e di un allievo. Una storia che sembra raccontare di un senso di inferiorità del secondo verso il primo, ma che invece nasconde solo un grande rispetto e una grande intelligenza, ma anche un'ambizione: battere con merito il grande campione ma senza scordare che il momento per competere non può sovrapporsi al momento per imparare.
Racconta Jo Ramirez, che fu meccanico alla Tyrrell negli anni d'oro, di un'occasione in cui Stewart aveva sbagliato all'ultima curva ma Cevert, che lo tallonava, non era passato al comando. Fu allora che il pilota scozzese scese dall'auto infuriato con Cevert: "perchè non mi hai passato?! Era la tua grande occasione ..."
Il maestro pensava che l'allievo non avesse voluto superarlo per deferenza e, giustamente, non sentiva di aver vinto ma di aver ricevuto un regalo. Ma si sbagliava perchè Cevert gli rispose "voglio batterti perchè sono più forte, non per un tuo errore..."
La seconda storia, cui facevamo riferimento prima, è quella di un'amicizia. Villeneuve in quel genere di cose, l'amicizia, la parola, credeva molto, tanto che anni dopo il tradimento di Pironi lo avrebbe distrutto. Hanno accusato Ferrari di non aver preso con sufficiente forza posizione in favore di Gilles. Ma Ferrari sapeva bene cos'è l'automobilismo e sapeva che in quel genere di cose non può entrare un direttore sportivo. L'inerzia di una squadra, se i piloti sono veloci e hanno classe, la fanno i piloti stessi. Del proprio onore rispondono solo loro.
Gli anni '80 sono stati il periodo delle rivalità interne più spettacolari: Mansell VS Piquet e Senna VS Prost. La prima fu una rivalità lacerante perchè vide una contrapposizione in seno al team. La seconda, invece, era semplicemente il corollario della superiorità schiacciante dei protagonisti rispetto agli altri.


La rivalità Prost - Senna

Ron Denniis - Alain Prost - Ayrton Senna



Prost - Senna 1993
Senna arriva in McLaren nel 1988 dalla Lotus e con lui arrivano anche i motori Honda. Ron Dennis ha voluto il brasiliano ritenendolo il miglior talento in circolazione e lo affanca al francese Prost, pilota storico della McLaren.
Prost riteneva che Senna avesse un vantaggio dall'aver lavorato lungamente con la Honda negli anni precedenti. Senna si rendeva conto che Prost non era una persona qualsiasi in McLaren
e non solo per i tanti successi.
A proposito di Prost, è molto interessante l'articolo che la rivista inglese Motorsport che dedica al pilota francese incentrando l'articolo sulle opinioni di Cheever, allora compagno di Prost alla Renault. Cheever ci spiega che Prost era un pilota maniaco del dettaglio, aveva un talento 9 su 10 e soprattutto era un gran "politico", nel senso che Alain sapeva sfruttare molto bene la propria posizione nel team, sapeva imporsi.
Ai tempi in cui Lui e Prost correvano alla Renault non esisteva la telemetria e quindi non poteva cercare di studiare Prost, come invece fece Hill nel '93, quando da debuttante ebbe un grande vantaggio da poter studiare la telemetria del Campione francese. Così, ciò che riusciva a fare Prost con la Renault rimaneva un mistero per Cheever che infatti dice letteralmente "He Prost was a magician".
Se Ayrton non era nella condizione di Hill, di dover imparare a guidare una F1, comunque il brasiliano ebbe modo di avvantaggiarsi della capacità di Prost di sistemare l'auto. Ovviamente lo strumento era lo studio della telemetria. La situazione tra Prost e Senna era potenzialmente esplosiva perchè tutti e due erano dei corridori affamati, entrambi sapevano come essere leader del team. Prost aveva dalla sua molti anni in McLaren ma ben presto capì che Ron Dennis stava dalla parte di Senna.



 Dopo l'incidente a Monaco, quando Senna sbattè al Portier, Dennis al galà del team si preoccupò unicamente di rincuorare Senna, forse colpito dalla reazione del brasiliano dopo l'incidente. Senna, infatti, dopo aver sbattuto con l'auto, perdendo un gp che stava dominando, si ritirò nel suo appartamento e cinque ore dopo, quando finalmente Ramirez riuscì a parlare con Senna, Ayrton era ancora disperato per quanto accaduto. Senna dirà di quell'incidente che lo ha reso più forte, gli ha insegnato a mantenere più alta la concentrazione.
Prost, comunque, aveva nel team un punto di riferimento importante, Jo Ramirez. Jo era molto amico di entrambi i piloti e Alain si fidava di lui, considerandolo leale verso entrambi.

In generale, la lealtà è un tratto del carattere di Jo Ramirez, una persona fantastica proprio perchè non volta mai le spalle ai suoi amici senza però essere mai falso ma mettendo sempre la verità prima di tutto.
Quando la McLaren si presentò al via della stagione 1988 fu chiaro che avrebbe dominato. Oltre ai due migliori piloti, schierava la miglior auto, con il miglior motore. Già da tempo a Ron Dennis si era unito Mansour Ojjeh che aveva apportato capitali e reso possibile il lancio della McLaren verso un'era di successi. Inoltre, il team vantava anche un'organizzazione efficiente, grazie a Jo Ramirez, già direttore sportivo della Fittipaldi, della Shadow e di altri team.
Ciò che non era chiaro era con chi la McLaren avrebbe vinto. Ron Dennis disse che non ci sarebbero stati ordini di scuderia ma che ci sarebbe stata piena fiducia nei piloti. Un pò lo stesso che dicevano alla Williams ai tempi di Piquet e Mansell. "Non si possono mettere due tori in un cortile", è una famosa frase di Sir Frank Williams. La stagione 1988 termina con Senna campione del mondo ... nonostante calcolando tutti i punti Senna avesse meno punti di Prost, ma all'epoca esistevano gli scarti. Va detto, comunque, che Senna aveva vinto più gare di Prost in quella stagione.
L'anno dopo, l'89, vide un ulteriore deteriorarsi dei rapporti tra Prost e Senna e tra Prost e Ron Dennis. Un giorno, Prost spiega a Ramirez che lascerà la McLaren per via non della rivalità con Senna ma del clima creatosi. L'addio di Prost si consuma tra polemiche interne al team, con il famoso contatto a Suzuka, la ripartenza di Senna e la successiva assurda squalifica per taglio di chicane, con il titolo a Prost.



Juan Manuel Fangio (Balcarce, 24 giugno 1911 – Buenos Aires, 17 luglio 1995) è stato un pilota automobilistico argentino, campione del mondo di Formula 1 nel 1951, 1954, 1955, 1956 e 1957. Nella massima serie automobilistica disputò un totale di 52 Gran Premi, vincendone 24 e salendo per 35 volte sul podio. Ottenne inoltre 29 pole-position e un totale di 48 partenze dalla prima fila. Il suo record di 5 titoli mondiali resistette per 48 anni e fu eguagliato e superato solamente nel 2002 e 2003, da Michael Schumacher. Detiene a tutt'oggi la più alta percentuale di pole position realizzate in carriera, il pilota italo-argentino è infatti partito in prima posizione nel 55,8% dei Gran Premi disputati; a 46 anni e 41 giorni è inoltre il corridore più anziano ad avere conquistato un titolo mondiale.



Ayrton Senna e Gerhard Berger compagni di squadra

Gerhard Berger nel 1989 lasciò la Ferrari passando alla McLaren, scambiando il suo sedile con Prost ed affiancando Senna. Col campione brasiliano nacque una grande amicizia, anche al di là delle corse, una sintonia che ricordò molto quella di Jody Scheckter e Gilles Villeneuve.

Con la McLaren trascorse tre anni, dal 1990 al 1992, ottenendo 3 vittorie, tra cui una al Gp del Giappone 1991, quando Senna gli regalò la vittoria all'ultima curva come premio per avergli coperto le spalle in tutto il 1991.



 
Francia 1992 Cina 2016
Sebastian Vettel come Ayrton Senna?


I duellanti: le grandi rivalità della Formula 1

“Oggi è il giorno più felice della mia vita”
Questa è la sintesi delle dichiarazioni di Alan Jones,  dopo aver visto il suo compagno di scuderia Carlos Reutemann, perdere il Mondiale piloti nel 1981 contro Nelson Piquet per un solo punto.

Oggi i piloti sono molto più formali e difficilmente sentiremo Hamilton o Rosberg, a fine anno, pronunciare una simile frase. Sicuramente lo stato d’animo di uno dei due sarà però molto simile a quello espresso all’epoca dal pilota britannico.
Che il compagno di squadra sia il primo avversario è una verità accettata nel mondo della Formula 1 e quest’anno possiamo assistere a una vaga rappresentazione di celebri duelli che in passato hanno caratterizzato interi campionati mondiali.

La concorrenza interna è sovente un’ulteriore benzina per un pilota, teso a superare il limite per dimostrare prima di tutto alla sua scuderia di essere degno di indossare i galloni da capitano. A volte , però, come  il caso Reutemann-Jones dimostra pienamente, si è trasformata in una clamorosa faida interna che ha finito per nuocere in primo luogo proprio alla casa costruttrice.
Negli occhi di tutti gli appassionati sono ancora vivide le immagini del finale di campionato a Suzuka nel 1989, quando avvenne un controverso contatto fra Ayrton Senna e Alain Prost, grazie al quale il francese si laureò campione del Mondo.

La McLaren vinse il Mondiale, ma perse Prost che, complice l’impossibile convivenza con il brasiliano, decise di migrare in Ferrari. L’anno dopo, sempre a Suzuka, fu Senna a “vendicarsi” di Prost, con una manovra ai limiti del regolamento che eliminò il ferrarista dalla gara e dalla lotta al titolo. Nel 1991, dopo il terzo titolo mondiale, il campione di Sao Paulo ammise di averlo fatto deliberatamente. La contesa proseguì oltre i cordoli e le tribune: come rivelato da Cesare Fiorio, anni dopo, la Ferrari ottenne l’assenso di Ayrton Senna per un clamoroso passaggio alla scuderia di Maranello, vanificato però dal veto assoluto posto proprio da Alain Prost.

Il finale di una contesa tanto epica non poteva che essere struggente e poetico. Dopo la pace ad Adelaide nel 1993,  giorno del ritiro di Prost, durante un giro di prova nel Gran Premio di Imola del 1994, Senna, in collegamento con una TV francese, a sorpresa si rivolse al suo rivale, presente come telecronista con un toccante “We all miss you, Alain” (ci manchi, Alain). Pochi giorni dopo, fra i piloti che condussero la bara del brasiliano fuori dalla Chiesa, figurava anche Alain Prost.

Il campione francese in carriera non ebbe mai idilliaci rapporti con i compagni di squadra. A inizio anni ’80 diede vita in Renault a una contesa tutta transalpina con René Arnoux; culminata nel Gran Premio di Francia del 1982 in cui Arnoux arrivò primo al traguardo e ignorò, secondo quanto sostenuto da Prost arrivato secondo, gli ordini di scuderia.
In Ferrari invece si trovò a battagliare con Nigel Mansell che, nel già ricordato Mondiale del 1990, non si prestò al ruolo di gregario per aiutarlo a ottenere l’alloro Mondiale come molti tifosi avrebbero voluto. La gara in Portogallo, con la manovra dell’inglese che in partenza lo strinse contro il muretto, gli fece perdere punti preziosissimi per il cammino mondiale.

Queste lotte trasversali palesano spesso il loro lato paradossale. Nel 1986, infatti, fu anche grazie ai contrasti fra un giovane Mansell e un esperto Piquet in seno alla Williams se Prost, come il “terzo incomodo” del proverbio, potè godere i frutti dei loro litigi vincendo il secondo Mondiale di fila.

Uno sport come la Formula 1, in cui l’individualismo del pilota è costretto a convivere e a collidere con quello del compagno di squadra, è destinato a fornire sempre esempi di contese e rivalità dentro e fuori dalle piste.
Il compendio di ciò che esse dovrebbero essere si trova nella risposta che David Purley, dopo aver tentato invano di salvare dalle fiamme il suo compagno di squadra Roger Williamson davanti ai commissari impietriti dal terrore, diede a una domanda relativa al suo “amico” Williamson:
“Non era mio amico: la veritá era che Roger lo conoscevo appena, altro che amico. Ma in quel momento, tentare di salvarlo era il mio dovere”



10 agosto 1986, GP Ungheria, è uno di quei giorni storici per la F1.

Il sorpasso capolavoro di Piquet su Senna

 I protagonisti sono un certo Ayrton Senna e Nelson Piquet: e proprio quest'ultimo fa forse
il sorpasso più bello di sempre della Formula1!



        Negli anni '70 nasce la stella di Lauda



LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

 STORIA DI UN MITO


Nurburgring


Il circuito attuale non è lo stesso sul quale si gareggiava negli anni cord-occidentale, a poche decine di chilometri da Spa sede storica del Gran Premio del Belgio, era lungo in origine 22,810 km. Costellato da una quantità incredibile di curve e controcurve (ben 174 ad ogni giro!), salite ripidissime alternate a discese mozzafiato, tornantini da prima in porfido (come l'imitatissimo Karussell), il lunghissimo rettilineo d'arrivo di quasi 4 km. a fianco del vecchio castello del Nürburg spezzato dal 1966 da una chicane che portò la lunghezza della pista a 22,835 km., perfino punti dove le vetture spiccavano letteralmente il volo (come il Flugplatz che non a caso in tedesco significa aeroporto), il circuito Nord, come viene chiamato per distinguerlo da quello odierno, è stata una vetrina unica al mondo nella quale soltanto i campioni con la "C" maiuscola hanno saputo mettersi in mostra.

Fino al 1969 fu la sede permanente del Gran Premio di Germania, fatta eccezione per l'edizione del '59 disputata sul lungo ovale dell'Avus, poi nel 1970 i responsabili della Formula 1 trasferirono temporaneamente la gara tedesca ad Hockenheim per permettere ai gestori del Ring di effettuare lavori di miglioramento della sicurezza dei piloti, come ad esempio mitigare le rampe di lancio e aumentare le vie di fuga in curva. Nel 1971 la corsa tornò nella sua sede storica ma si capì subito che le misure di sicurezza adottate erano insufficienti; tuttavia si dovette attendere fino al 1976, quando Niki Lauda ebbe il terribile incidente che tutti ricordano, per decretare la definitiva morte (per quanto riguarda la Formula 1) del vecchio Nürburgring e lo spostamento definitivo del GP tedesco ad Hockenheim.
Nel frattempo gli organizzatori si diedero da fare per costruire un nuovo tracciato lungo poco più di 4,5 km., posto più a sud di quello classico, che possedesse caratteristiche tali da permettergli di ospitare una gara di Formula 1 moderna: ampie vie di fuga, chicane che limitassero la velocità (ma anche le possibilità di sorpasso), posti a sedere concepiti più come tribune da stadio calcistico piuttosto che da autodromo; malgrado tutto, il fascino paesaggistico del vecchio Ring, anche se ovviamente in misura minore, continua a rimanere anche in quello attuale. Il Circus debuttò sul nuovo circuito in occasione del Gran Premio d'Europa del 1984; l'anno successivo, ma solamente per quell'anno, fu sede del Gran Premio di Germania, poi un'attesa lunga 10 anni, infine nel 1995 la Formula 1 ha trovato nel piccolo Ring una sede stabile del proprio calendario: da allora vi si sono disputate le uniche due edizioni del Gran Premio del Lussemburgo nel '97 e '98 e tre Gran Premi d'Europa. Qualche cifra per concludere. Sul circuito Nord si è corso 22 volte; solamente due piloti sono stati capaci di trionfare tre volte su questa mitica pista: Juan Manuel Fangio e Jackie Stewart; mentre Alberto Ascari, John Surtees e Jacky Ickx si sono imposti in due occasioni; sul circuito di oggi si sono svolte sette gare e l'unico a fare il bis, nel '96 e '97, è stato Jacques Villeneuve. Complessivamente la marca che ha vinto più gare sui circuiti del Nürburgring è la Ferrari.


Niki Lauda il vero eroe
della Formula 1




Merzario, il pilota che salvò la vita
 a Lauda al Nurburgring





GP di Germania dell’agosto 1976: Niki Lauda a sette gare dalla fine del campionato ha 61 punti e ben 31 di vantaggio sul secondo, il titolo di Campione del Mondo sembra vicinissimo, ma il dramma è in agguato.

Sul difficilissimo e lunghissimo circuito del Nurburgring Lauda  parte in prima fila al fianco di Hunt, grazie al secondo tempo ottenuto nelle prove. Niki non effettua una buona partenza: fa pattinare troppo le ruote sulla pista bagnata, e si ritrova al nono posto. 

A quel punto, poiché la pista si sta progressivamente asciugando, decide di fermarsi ai box per cambiare le gomme. Al rientro in pista è scivolato agli ultimi posti per cui si lancia a testa bassa, deciso a recuperare il terreno perduto. Nel corso del terzo giro,il dramma.

L’austriaco perde il controllo in una veloce curva a sinistra, più o meno a metà pista, compie un testa coda e sbatte violentemente contro una roccia con la fiancata sinistra e rimbalza al centro della pista, prendendo immediatamente fuoco. Dopo Guy Edwards che riesce ad evitare la carcassa infiammata della Ferrari arriva la Surtees di Brett Lunger che non riesce ad evitarla e la urta violentemente. I piloti giunti sul posto scendono dalle loro macchine e si prodigano a soccorrere lo sfortunato pilota. In particolare è da ammirare il coraggioso Merzario,

che non esita, rischiando la propria vita, a gettarsi in mezzo alle fiamme riuscendo ad estrarre Lauda dall’abitacolo, salvandogli così la vita.

Niki Lauda con la moglie Birgit Wetzinger





29 maggio 2019 - Luca Cordero di Montezemolo ex presidente della Ferrari, partecipa alla cerimonia funebre
del campione  di Formula 1 Niki Lauda al Stephandsdom  (cattedrale di Santo Stefano a Vienna)








Arturo Merzario, il pilota che ha tirato fuori  Niki Lauda dalla macchina in fiamme  al Nurburgring,
 al funerale di Niki .


Andreas Nikolaus Lauda, detto Niki (Vienna, 22 febbraio 1949 – Zurigo, 20 maggio 2019),
è stato un pilota automobilistico, imprenditore e dirigente sportivo austriaco.

Tre volte campione del mondo di Formula 1 (nel 1975 e 1977 con la Ferrari, nel 1984 con la McLaren), come imprenditore ha fondato e diretto tre compagnie aeree, la Lauda Air, la Niki e la Laudamotion; come dirigente sportivo, dopo essere stato consulente per Ferrari e avere diretto per due stagioni la Jaguar Racing, dal 2012 fino alla sua morte ha ricoperto la carica di presidente non esecutivo della Mercedes AMG F1.
Ha disputato 171 Gran Premi, vincendone 25, segnando 24 pole position e altrettanti giri veloci. Ha avuto una carriera sportiva di grande livello guidando per March, BRM, Ferrari, Brabham e, infine, McLaren.
Considerato uno dei migliori piloti della storia, era soprannominato Il computer per via della sua freddezza al volante.
Nel 1976, sul circuito del Nürburgring, ebbe un grave incidente che lo lasciò parzialmente sfigurato in viso; da ciò l'abitudine di indossare un berretto rosso, un accessorio presto divenuto iconico nella sua immagine pubblica.

 1975: Lauda dopo 11 anni.

Il GP d'Italia del 1975 potrebbe entrare nella storia: il ferrarista Niki Lauda, in testa alla classifica, cerca gli ultimi punti per conquistare matematicamente il titolo mondiale.
L'austriaco, scattato dalla pole arriva terzo alle spalle del compagno Regazzoni e di Fittipaldi e conquista l'alloro a undici anni dall'ultimo trionfo in rosso di John Surtees. Una stagione da primattore per Niki, vincitore di ben cinque
Il suo antagonista, Emerson Fittipaldi, alla fine della stagione viene staccato di quasi venti punti (64,5 a 45) e si accontenterà della seconda piazza.
Lauda dominò anche la stagione 1976 ma il terribile incidente del Nuerburgring, lo privò del meritato bis.La causa non fu, come tutti ricordano, la rinuncia dell'austriaco di correre l'ultima gara ma, soprattutto, la remissività del suo compagno di squadra, Clay Regazzoni, che si fece superare, nel corso dell'ultimo giro, da James Hunt che conquista così il titolo.
corse (Montecarlo, Belgio, Svezia, Francia, Stati Uniti) e altri tre piazzamenti sul podio.

1977: Lauda di nuovo re.

Niki Lauda nel 1977 conquista il suo secondo titolo mondiale al volante della Ferrari.Il pilota austriaco fece il bis iridato ma a fine stagione divorziò dalla casa di Maranello che non gli aveva perdonato il suo abbandono nel Gran Premio del Giappone del 1976 a causa della pioggia battente, regalando il titolo alla McLaren di James Hunt.
Dopo un ritiro nella prima gara dell’anno in Argentina, Niki arriva terzo in Brasile, primo in Sudafrica e secondo a Long Beach. In Spagna nuova decisione clamorosa dell’austriaco che dopo il warm-up dichiara forfait a causa di un dolore alle costole. Altre due piazze d’onore a Montecarlo e in Belgio, ritiro in Svezia e quinto posto in Francia. Con quest’ultimo piazzamento Lauda scavalca Scheckter in vetta alla classifica mondiale; siamo metà campionato e Niki non mollerà più il comando fino alla fine.
Nelle cinque gare successive l’austriaco arriva sempre sul podio: è secondo in Gran Bretagna, primo in Germania (ad Hockenheim, non al Nürburgring), secondo in Austria, primo in Olanda e secondo a Monza. Nel Gran Premio degli Stati Uniti si piazza quarto e conquista matematicamente il titolo iridato. Quella però è l’ultima gara di Lauda al volante di una Ferrari: infatti Niki se ne va sbattendo la porta e firmando un accordo con la Brabham-Alfa Romeo: nelle ultime due gare, in Canada e in Giappone, il suo posto verrà preso da un giovanissimo canadese, Gilles Villeneuve.




Monaco, 1955.
È l'edizione passata alla storia per il volo in acqua di Ascari
.
Dopo una partenza bruciante, Fangio, scattato dalla pole position, è costretto al ritiro, mentre si trova in testa, per la rottura di un ponte. La prima piazza è ceduta al compagno di squadra, Stirling Moss, sempre su Mercedes, passato alla storia come l'"eterno secondo": pilota dal talento straordinario, mai in grado di portare a casa un alloro iridato.
Anche la Mercedes dell'inglese, tuttavia, è costretta al ritiro per un problema al motore. Ascari, su Lancia, si trova, così, in testa alla gara. È a questo punto che una delle immagini più vivide, fra i ricordi degli appassionati, prende forma: il milanese, alla chicane del porto, perde il controllo della vettura - forse per un problema al freno anteriore destro, forse per la presenza di olio perso proprio dalla vettura di Moss - e finisce clamorosamente in mare. 
   Monza - 26 maggio 1955
Il giovedì successivo non ascoltando né pareri medici, né tanto meno la moglie Mietta, si presenta all'Autodromo di Monza dove sta provando l'amico e allievo Castellotti. Eugenio è al volante di una Sport della Casa di Maranello e tra un giro e l'altro, Alberto gli chiede di potere effettuare alcuni giri di pista, tanto per tenersi in esercizio. Chi lo conosce e lo vede salire sulla vettura, capisce che c'è qualcosa che non va. Alberto è in camicia e cravatta e non ha con sè l'inseparabile caschetto azzurro e la maglietta anch'essa azzurra da gara. Verso mezzogiorno schiaccia l'accelleratore puntando verso la Curva Grande. Gli alberi si fanno sempre più veloci verso di lui, arriva alle due Curve di Lesmo e si lancia verso il Serraglio e quindi sul rettifilo che porta alla Parabolica per immetrsi nel rettifilo dei box. E' talmente il gusto della velocità e della rinata sicurezza in Lui, che decide di fare un altro giro, passando davanti ai box e salutando l'amico fraterno Castellotti.



Ascari  - 1955
una morte misteriosa
La vettura era sostanzialmente integra... a parte la zona posteriore sinistra. Per il resto ammaccata nelle parti laterali, come se avesse rotolato trasversalmente per qualche giro. Il pilota è stato sbalzato fuori


Il punto dell'incidente
I due pali sulla destra sono ancora lì.....anche l'albero sulla sinistra è lo stesso!

Il motore si fa sempre più "grosso", le gomme stridono alla secoda di Lesmo. Arriva alla curva a sinistra che prenderà poi il suo nome, la passa e all'improvviso il motore si fa muto e sull'Autodromo scende di colpo il silenzio. Ai box capiscono che è successo qualcosa. I soccorsi partono immediatamente e trovano il povero Alberto riverso a testa in giù, dopo una strisciata di una cinquantina di metri. La Sport rovesciata è un brutto segnale per i soccorritori. Le cause non furono mai stabilite: embolia in seguto all'incidente di Montecarlo, o come si sussurra, l'incidente fu dovuto all'improvviso attraversamente della pista da parte di un manovale che credendo la pista libera per la pausa di mezzogiorno, decise di attraversarla, obbligando Ascari ad una improvvisa frenata per evitarlo, con il conseguente tragico ribaltamento.

Quattro giorni dopo, a Monza, Ascari è di nuovo in piedi ad assistere alle prove di qualificazione a Supercortemaggiore. Appena prima di tornare a casa con sua moglie per il pranzo decide di fare qualche giro con la Ferrari del suo amico Castellotti. In camicia e pantaloni e indossando il casco di Castellotti si avvia. Al 3° giro all'uscita da una curva l'auto imprevedibilmente sbanda, capovolgendosi due volte dopo un testacoda. Sbalzato fuori dal mezzo Ascari si ferisce gravemente e muore dopo pochi minuti.

La morte di Ascari venne accolta come una perdita per l'intera nazione. Telegrammi di cordoglio vennero spediti da tutto il mondo. Alle colonne della chiesa di San Carlo al Corso furono appesi drappi neri e un'enorme scritta: "Accogli, o Signore, sul traguardo l'anima di Alberto Ascari." Per i suoi funerali la piazza del Duomo, il cuore pulsante di Milano, era invasa di gente. La piazza più rumorosa d'Italia fu quel giorno così silenziosa che si potevano sentire i telefoni squillare a vuoto nelle case.
Tre giorni dopo le esequie la Lancia sospese ogni attività agonistica e a Luglio consegnò sei modelli D50, con motori, progetti e ricambi, alla Ferrari.



Vittorio Brambilla

 Vittorio Brambilla era, a suo modo, un personaggio singolare, uno di quelli che si motori si intendevano davvero, così come il fratello Tino. Aveva corso in moto, con i kart, con le monoposto di formula 3, fino al grande salto nella Formula 1. Anno 1974, sulla March-Ford al fianco di Stuck, dopo aver preso il posto del neozelandese Ganley.
Il suo anno d'oro fu il 1975, unica guida della March Ford sponsorizzata Beta. Fu l'anno in cui ottenne una pole position sul circuito di Anderstop, nel Gran Premio di Svezia, ma soprattutto vinse il Gran Premio d'Austria all'Osterreichring, il 17 agosto. Una gara segnata dalla morte di Mark Donohue nelle prove libere della domenica e poi sospesa per la pioggia battente al 29° dei 54 giri previsti. Brambilla che era in testa, con largo margine, portò a casa la vittoria e metà punteggio.

Fu l'unica volta che salì sul podio, anche se diverse altre volte andò a punti, l'ultima nel 1978, ancora in Austria, con un sesto posto. E, in un'altra drammatica giornata, il 10 settembre '78, Vittorio Brambilla rischiò la vita nell'incidente in cui morì Ronnie Peterson. Colpito in testa da una ruota, dovette essere ricoverato in ospedale.
Tornò sporadicamente in formula 1, sull'Alfa Romeo, in due gran premi del 1979 (Italia e Canada) e del 1980 (Olanda e Italia). A carriera ormai conclusa - a 42 anni, dopo 74 Gran Premi - era rimasto nel mondo dei motori: aveva un'officina a Monza. E, in ossequio alla vecchia passione per le due ruote, si era dilettato a fare per anni il motociclista al seguito del Giro d'Italia.
Se ne è andato il 26 maggio 2001, un mese dopo Michele Alboreto. E l'Italia della Formula 1 perde un altro di quei personaggi che si erano ritagliati uno spazio nelle cronache del grande circus. A differenza di Alboreto, Brambilla è morto fuori da quel mondo che gli aveva dato notorietà, in un pomeriggio di sole nella sua Brianza, facendo quello che il sabato fanno tanti uomini normali: stava tagliando l'erba del prato di casa sua, è scivolato a terra e anche la vita gli è scivolata via.



Gran Premio del Belgio 2018

Il Gran Premio del Belgio 2018 è stata la tredicesima prova del campionato mondiale di Formula 1 2018. La gara, corsa domenica 26 agosto sul circuito di Spa-Francorchamps, è stata vinta dal tedesco Sebastian Vettel su Ferrari, al cinquantaduesimo successo nel mondiale; Vettel ha preceduto all'arrivo il britannico Lewis Hamilton su Mercedes e l'olandese Max Verstappen su Red Bull Racing-TAG Heuer.

Per questa gara la Pirelli, fornitrice unica degli pneumatici, porta mescole di tipo medie, morbide e supermorbide.

La FIA stabilisce due zone per l'utilizzo del Drag Reduction System: la prima lungo il rettilineo del Kemmel, con punto per la determinazione del distacco tra piloti posto prima della seconda curva. La seconda zona è stabilita sul rettilineo dei box, e detection point fissato prima della curva 18.

La Mercedes porta la terza evoluzione stagionale della power unit: Valtteri Bottas dispone di una power unit nuova in tutta e sei le componenti, mentre per Lewis Hamilton viene montato un nuovo motore termico, un nuovo turbo e una nuova MGU-H. Anche la Ferrari monta per la prima volta la terza evoluzione della power unit, che era stata già predisposta per Haas e Sauber, nel precedente Gran Premio d'Ungheria.

In partenza Lewis Hamilton si difende dall'attacco di Sebastian Vettel e mantiene la prima posizione; i due sono seguiti dai piloti della Force India. Più dietro, Nico Hülkenberg sbaglia il tempo di frenata alla Source e colpisce in pieno la vettura di Fernando Alonso, che spicca il volo appoggiandosi sull'Halo della Sauber di Charles Leclerc, mentre con il muso dell'ala anteriore colpisce la parte posteriore della macchina di Daniel Ricciardo, che a sua volta tocca la gomma posteriore destra di Kimi Räikkönen causandogli una foratura. Alonso, Leclerc e Hülkenberg sono costretti al ritiro.

Nel lungo rettilineo del Kemmel, intanto, Sebastian Vettel si sbarazza di Hamilton e si pone al comando, poco prima che i commissari decidono per l'utilizzo della safety car. Anche i piloti della Force India attaccano, senza successo, il britannico, con quattro vetture che praticamente si trovano sulla stessa linea.

Tutti i piloti vanno ai box per la sosta, mentre i meccanici Red Bull cercano di riparare alla svelta la RB14 di Ricciardo. Al quinto giro l'australiano ritorna in pista, con due giri di ritardo dal gruppo. La gara riprende, con, dietro i primi due, Sergio Pérez, Esteban Ocon, Max Verstappen e Romain Grosjean. All'ottavo giro Verstappen supera Ocon per il quarto posto. Un giro dopo Kimi Räikkönen è costretto al ritiro per via del DRS danneggiato dopo l'incidente e dei danni al fondo provocati dalla foratura del primo giro. Nel frattempo Verstappen supera anche Pérez per il terzo posto, staccato però di 12,7 secondi dal secondo posto. Al tredicesimo giro Valtteri Bottas entra in zona punti, scavalcando Sergej Sirotkin.

Al ventiduesimo giro si ferma Lewis Hamilton, che rientra terzo, alle spalle di Max Verstappen. Un giro dopo entra ai box anche Sebastian Vettel, che mantiene il comando, dopo la sosta. Qualche giro dopo inizia la battaglia tra Marcus Ericsson e Brendon Hartley per la nona piazza: il neozelandese supera la Sauber lungo il rettilineo del Kemmel, ma lo svedese si riprende la posizione successivamente. Al trentesimo giro va ai box anche Valtteri Bottas, per montare un treno di gomme soft. Intanto si ritira Daniel Ricciardo, quando era a un giro dal penultimo posto. Negli ultimi giri Bottas supera le due Force India, e coglie il quarto posto. L'altro pilota della Mercedes, Hamilton, invece, rallenta e vede aumentare a oltre dieci secondi il distacco dal leader di gara Vettel.

Sebastian Vettel vince per la cinquantaduesima volta in carriera e per la tredicesima con la Ferrari. Hanno colto più successi di lui con la casa italiana solo Niki Lauda e Michael Schumacher. Riduce inoltre il suo distacco dalla vetta della classifica a 17 punti.



Norman Graham Hill Hampstead, 15 febbraio 1929 Arkley , 29 novembre 1975)è stato un pilota automobilistico britannico, l'unico ad aver vinto la Triple Crown.

Il terribile incidente di Graham Hill - Stati Uniti 1969

Gareggiò nella Formula 1 tra il 1958 ed il 1975, divenendo campione nel mondo in due occasioni (nel 1962 e nel 1968) prima della tragica morte avvenuta a causa di un incidente aereo. Era particolarmente conosciuto anche per l'intelligenza e la regolarità della sua condotta di gara.

Suo figlio, Damon, fu anch'egli pilota automobilistico ed inoltre campione del mondo di Formula 1 nel 1996.

Graham Hill era stato interessato inizialmente al motociclismo, ma nel 1954 notò una pubblicità dell'
Universal Motor Racing Club a Brands Hatch, che offriva la possibilità di girare in circuito per cinque scellini. Fece così il suo debutto in una Cooper 500 di Formula 3, e da quel momento in poi si dedicò alle corse automobilistiche. Hill entrò nella Lotus come meccanico, ma arrivò rapidamente al posto di guida. La Lotus correva in Formula 1 e questo permise a Graham di debuttare al Gran Premio di Monaco 1958, dove si ritirò per la rottura di un semiasse. Nel 1960 passò alla BRM, con cui vinse il titolo mondiale nel 1962. Hill fece anche parte della cosiddetta "invasione inglese" di piloti e vetture alla 500 Miglia di Indianapolis a metà degli anni Sessanta, vincendo nel 1966 con una Lola-Ford.
Nel 1967, tornato alla Lotus, Hill contribuì allo sviluppo della Lotus 49, spinta dal nuovo motore Cosworth V8. Dopo la morte dei suoi compagni di squadra, Clark e Spence, all'inizio del 1968, Graham prese le redini della squadra, vincendo il suo secondo titolo. In quel periodo, la Lotus aveva fama di vettura fragile e pericolosa, specialmente con i nuovi dispositivi aerodinamici, che causarono incidenti molto simili a Hill e Jochen Rindt nel corso del Gran Premio di Spagna 1969. Un incidente al GP statunitense di quello stesso anno gli provocò fratture alle gambe, interrompendo la sua carriera. Dopo essersi ristabilito, Hill continuò a correre in Formula 1 per alcuni anni, senza però ottenere gli stessi successi. Colin Chapman riteneva che Hill fosse ormai a fine carriera e lo sistemò per il 1970 nella squadra di Rob Walker, fornendo anche, come parte dell'accordo, una delle nuove vetture modello 72.
Al primo Gran Premio in Sudafrica, Hill arrivò sorprendentemente sesto, un ottimo piazzamento dato che ancora aveva bisogno di una stampella per camminare. Ottenne poi un ottimo quarto posto in Spagna e un quinto a Monaco. Dopo questo discreto inizio, la Lotus 49 cominciò a essere inadeguata ed anche la Lotus 72 promessa da Chapman non venne consegnata al team di Walker fino a Monza, dove però nessuna Lotus gareggiò dopo la scomparsa di Rindt. Hill passò quindi alla Brabham per il 1971-1972: la sua ultima vittoria in Formula 1 arrivò all'International Trophy di Silverstone, nel 1971, gara non valida per il campionato, con la Brabham BT34. La squadra era comunque in crisi, dopo il ritiro di Jack Brabham e la vendita a Bernie Ecclestone da parte di Ron Tauranac; Hill non riuscì a sistemarsi.
Pur concentrandosi sulla Formula 1, mantenne una presenza anche nelle corse per vetture Sport, comprese due partecipazioni a Le Mans, con una Rover-BRM a turbina. Con il declino della sua carriera in Formula 1, entrò a far parte della squadra Matra di vetture Sport, vincendo la 24 Ore di Le Mans nel 1972,insieme a Henri Pescarolo. Questa vittoria completò la cosiddetta "Tripla Corona" dell'automobilismo, in entrambe le definizioni che ne vengono date (vittoria alla 500 miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e al Gran Premio di Monaco, oppure alla 500 Miglia di Indianapolis, alla 24 Ore di Le Mans e nel Campionato mondiale di Formula 1). In entrambi i casi, Hill è ancora l'unica persona ad aver ottenuto queste vittorie.



Link:Curiosità


Elio De Angelis: talento e sfortuna

Elio De Angelis Elio De Angelis aveva talento ed era veloce, purtroppo si schiantò con uno spaventoso incidente, al Paul Ricard, mentre testava la troppo avveniristica Brabham-BMW. Che fu subito ribattezzata "sogliola", a causa dell'inclinazione data al motore dai tecnici tedeschi per accontentare le bizzarre soluzioni pensate da Gordon Murray per una Brabham che voleva fare dell'abbassamento del baricentro il suo punto di forza.
Divenne, invece, lo strumento di morte per un pilota che aveva mostrato tutto il suo valore in più occasioni. Ma ce n'è una in particolare che viene subito in mente, la vittoria nel Gran Premio d'Austria del 1982 con pochi millesimi di vantaggio sulla Williams di Keke Rosberg.

Elio De Angelis con Ayrton Senna nel 1985

Dopo quell'affermazione, De Angelis si imporrà ancora una volta a Imola, nel Gran Premio di San Marino del 1985, sempre con la Lotus.Elio De Angelis su Lotus: un binomio che fruttò due vittorie iridate Alla fine di quella stagione, però, Elio abbandona il team che gli ha dato tante soddisfazioni per approdare alla Brabham. Nella squadra che era stata creata da Colin Chapman, era arrivato uno nuovo: un certo Ayrton Senna. E Elio aveva capito immediatamente che per lui non ci sarebbe più stato spazio lì.
La sua carriera era stata rapida e ricca di soddisfazioni: nel '75 era stato campione del mondo kart, poi aveva corso in F.3, con la quale si era messo in luce nella gara di contorno a Montecarlo, e in F.2. L'approdo in Formula 1 era arrivato nel '79 con la Shadow, per poi passare alla Lotus e restarci per sei stagioni, fino al divorzio "necessario" e il conseguente passaggio alla Brabham. Dove, De Angelis aveva trovato una vettura "strana": Gordon Murray, il geniale progettista del team all'epoca ancora di Ecclestone, aveva infatti disegnato una monoposto superpiatta, per sfruttare meglio l'effetto suolo.
E' con questa monoposto - che tanti problemi aveva evidenziato nelle prime gare della stagione '86 - che Elio De Angelis svolge alcuni test sul circuito di Le Castellet, quando si verifica il terribile incidente. Estratto ancora vivo dall'abitacolo, lo sfortunato pilota romano cessa di vivere poco dopo.
E' il 15 maggio: poco meno di due mesi prima, aveva compiuto 28 anni.



Alan Stacey (Broomfield, 29 agosto 1933 – Circuito di Spa-Francorchamps, 19 giugno 1960) è stato un pilota automobilistico britannico.

Nato a Broomfield, presso Chelmsford (Regno Unito) da una famiglia di allevatori, si era presto messo in luce ed era riuscito ad arrivare a correre per la Lotus, nonostante avesse una protesi alla parte inferiore della gamba sinistra, cosa che lo obbligava a usare, per azionare la frizione, un comando di tipo motociclistico.
Morì durante il Gran Premio del Belgio 1960, in una delle più tragiche edizioni di un GP che si ricordi: in quella stessa corsa perse la vita anche Chris Bristow e chiuse la carriera un'altra promessa dell'automobilismo britannico, Mike Taylor, mentre nelle prove il grande Stirling Moss si era fratturato entrambe le gambe.
L'incidente di Alan Stacey avvenne a Masta, su un rettilineo velocissimo: un uccello aveva colpito Stacey in pieno volto, la macchina impazzita uscì di strada. Il pilota, sbalzato fuori dall'abitacolo, morì sul colpo.



Sono ormai passati ben 60 anni da questa entusiasmante gara eppure il suo ricordo è ancora vivo nel cuore degli appassionati. Il Gran Premio d’Argentina del 1953 fu la prima gara della stagione del campionato di Formula 1 e venne disputato il 18 Gennaio. L’anno precedente aveva dominato l’italiano Alberto Ascari.

Cerchiamo di ricostruire questa giornata a partire dalle novità che si presentarono: innanzitutto la Ferrari che nella stagione scorsa non aveva avuto rivali in grado di competere con le sue monoposto decise di rafforzare il suo team piloti siglando un accordo con un giovane inglese, Mike Hawthorn. Questa scelta fu obbligata in quanto la Maserati aveva riportato alla guida delle sue monoposto Juan Manuel Fangio, il quale era stato assente dal mondo delle corse per un periodo di ben 7 mesi a causa di un brutto incidente avvenuto sul circuito di Monza; con il ritorno del pilota le motivazioni della scuderia del tridente crebbero e si cercò di sviluppare un’auto in grado di competere con quella del cavallino rampante, così si creò una forte tensione ancor prima che il campionato potesse cominciare.

Con ben sei argentini tra le fila dei sedici partenti al GP, inclusi Fangio e José Froilan Gonzalez entrambi su Maserati, il numero degli spettatori crebbe esponenzialmente, favorito anche dall’iniziativa del presidente Peron di non far pagare l’entrata al circuito, tanto che le reti di sicurezza furono infrante da questa folla che si accampò lungo tutto il tracciato senza la minima paura di essere travolta dalle automobili in corsa: alla fine si contarono ben 400.000 persone all’interno dell’autodromo di Buenos Aires. Resosi inutili tutti i tentativi di placare i presenti si decise di dare il via alla competizione, cosa che non fu gradita ai piloti i quali tentarono di allontanare la folla dal perimetro del percorso gesticolando durante il loro passaggio, ottenendo però risultati inefficaci. Al 32° giro si verificò quello che tutti i piloti e gli organizzatori avevano previsto: qualcuno tentò di attraversare il circuito mentre sopraggiungeva la Ferrari di Nino Farina; l’italiano tentò di scansare all’ultimo la figura presentatasi davanti ai suoi occhi e finì rovinosamente sugli spettatori con un drammatico bilancio di 10 morti e oltre trenta feriti, mentre il pilota se la cavò con qualche ferita agli arti inferiori. Un altro episodio spiacevole fu quello di Alan Brown che a bordo di una Cooper-Bristol colpì un ragazzino. La corsa tuttavia riprese.

Al termine della gara, dopo ben 3 ore, a dominare fu come previsto Alberto Ascari, il quale partito dalla pole position non perse mai il primato e ciò fu dovuto anche al fatto che montava un 2.5 litri sotto il cofano della sua Ferrari. Secondo fu il suo compagno di squadra Luigi Villoresi con oltre un giro di distacco. Sul gradino più basso del podio giunse Gonzales che ricevette un lungo applauso dalla folla locale anche per il fatto di aver portato così in alto il ben più piccolo 2 litri di casa Maserati, mentre il molto atteso Fangio fu costretto al ritiro a causa di alcuni problemi alla trasmissione. Al quarto posto si piazzò il giovane Hawthorn, il che gli garantirà una certa fama ed un brillante futuro nella scuderia del cavallino.




La  BMW di  Gerhard Mitter dopo l'incidente mortale del tedesco al Nurburgring..
Un guasto alla sospensione o allo sterzo,  la causa  dell'incidente  durante le prove del Gran Premio di Germania del 1969.




1966 James Garner - Film "Grand Prix"

Link: Grand Prix 1966



James Hunt, una vita spericolata

Il 15 giuno 1993 James Hunt fu trovato morto nella sua casa londinese: ricordarlo significa ripercorrere, seppur brevemente, una vita spericolata che ebbe il suo momento di gloria proprio con quella McLaren che oggi, ancora una volta, rappresenta la maggiore avversaria del Cavallino rampante.

A Parigi, per ricevere il riconoscimento del titolo iridato conquistato, si presentò in smoking e scarpe da ginnastica, anche se lui avrebbe preferito andare scalzo, come spesso faceva. Era il 1976, e James Hunt era il nuovo campione del mondo di F.1: alla fine l'aveva spuntata su Niki Lauda, beffando con un solo punto di vantaggio, il rinunciatario ferrarista nell'ultima corsa in Giappone.

Risultato ottenuto con la McLaren, che grazie al fortissimo pilota inglese conquistava così il suo secondo titolo, dopo quello centrato due anni prima con Emerson Fittipaldi. Ma la figura di Hunt, più che alla McLaren, resta legata a quella di Lord Alexander Hesketh, un bizzarro rampollo della nobiltà inglese innamorato delle auto da corsa.

Dopo aver sponsorizzato la March del debutto in F.1 del suo pupillo, Hesketh realizzò un proprio team con una propria monoposto: un sodalizio che ebbe a Zandvoort nel 1975 il suo momento più glorioso con la vittoria nel Gran Premio d'Olanda: l'unica per il team Hesketh, e la prima delle dieci ottenute da Hunt nella sua carriera.

Nel 1976, infatti, il pilota inglese accettò la corte della McLaren, alla quale si legò fino al 1978. L'anno successivo, James passò alla Wolf rimasta vedova di Scheckter. Ma la scarsa competitività della monoposto convinse Hunt a maturare la decisione che già da tempo accarezzava: quella di abbandonare le corse.

Come nel suo stile, James annunciò improvvisamente che quello di Montecarlo sarebbe stato il suo ultimo Gran Premio: il 27 maggio 1979 si concluse quindi la carriera di Hunt in F.1. Dopo un tentativo mal riuscito di fare l'agricoltore, Hunt si diede alle telecronache dei Gran Premi per la BBC e per Eurosport, con commenti che innescarono spesso polemiche roventi fra i suoi colleghi, spesso giudicati con troppa disinvoltura dall'ex iridato.Nel suo mirino finì più volte Patrese: del resto, con il pilota padovano c'era ancora ruggine per l'episodio monzese del 1978 sfociato nel dramma di Peterson. Ma ai contrasti, alle prese di posizione, agli atteggiamenti strafottenti, Hunt era abituato..

La sua esistenza è sempre stata esagerata, a cominciare dal modo di vivere la F.1, per finire all'uso e all'abuso di fumo, alcol, passando da una vita privata perlomeno disordinata. E anche la sua morte, avvenuta improvvisamente a 45 anni per arresto cardiaco, ha suscitato dubbi sull'effettiva causa del decesso.




LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

1955 Tragedia a Le Mans





La Le Mans è la gara automobilistica più vecchia del mondo. Dura 24 ore e mette a dura prova efficienza e resistenza delle automobili e dei piloti, ma non senza conseguenze; al primo giro della 24 ore di Le Mans del 1937, René Kippeurth viene catapultato fuori dall’abitacolo della sua Bugatti 44 e centrato dalla BMW di Pat Fairfild: muoiono entrambi. Nel 1949, all’ultima ora, l’Aston Martin di Pierre Marechal sbaglia un sorpasso e si schianta, uccidendolo. Nel 1951, la Ferrari 212 guidata da Jean Lariviere vola fuori dal circuito, e Lariviere muore decapitato da ufn cavo d’acciaio. Nel 1953 la Ferrari 340 di Tom Cole esce di strada a 170 chilometri all’ora; lui viene sbalzato fuori dall’abitacolo e si sfracella contro il muro di una casa.


Pierre Lavegh

 Nel 1955, la Mercedes 300 SLR di Pierre Lavegh si scontra con l’Austin-Healey di Lance Macklin, si solleva in aria e piomba tra gli spalti a oltre 100 chilometri all’ora in una pioggia di schegge d’acciaio, benzina e alluminio incandescente: muoiono i due piloti insieme a 83 spettatori. Nel 1956 Louis Hery muore arso vivo nella sua Monopole X86, nel 1958 la Jaguar di Jean Brussin sbanda per la pioggia, si capovolge e viene centrata dalla Ferrari di Bruce Kessler; Brussin muore nell’impatto. Al pubblico non importa, e aumenta ogni anno. Agli inizi degli anni ’60, qualunque pilota partecipi alla Le Mans entra nell’abitacolo consapevole che potrebbe morire.

Fangio e MossLa prima gara della stagione nel 1955 è il Gran Premio di Argentina. Neubauer, sentendo la necessità di trovare un altro pilota del calibro di Fangio da affiancargli, consulta la propria lista di piloti emergenti e ingaggia Stirling Moss. Con Moss viene stabilito che nei Gran Premi avrebbe funto da spalla per Fangio, mentre nelle altre gare automobilistiche i due piloti sarebbero stati trattati in modo paritario. Jean Behra rimpiazza Moss alla Maserati mentre Hawthorn lascia la Ferrari per entrare nella scuderia Britannica Vanwall.
Con una temperatura che raggiunge i 40 gradi all'ombra il Gran Premio si trasforma in una prova più per il pilota che per la vettura. Sono solo due i piloti che increduli riescono a concludere la gara, uno di questi è il vincitore, Fangio. Sia Fangio che Moss si ritirano dalle gare al Gran Premio di Monaco che vede vincitore Trintignant su Ferrari. Monaco ci fa presagire ciò che sta per accadere quando Ascari esce di pista finendo nelle acque del porto. Morirà quattro giorni dopo mentre prova una macchina sportiva della Ferrari. La Lancia, senza il suo pilota di punta e con forti problemi economici, è costretta a ritirarsi dalle corse. Nel frattempo Moss vince in maniera stupefacente la Mille Miglia, diventando il primo vincitore non italiano dai tempi di Caracciola. La Mercedes vince ancora a Spa conquistando sia la prima che la seconda posizione. A quei tempi la maggior parte dei grandi piloti si dilettava anche con macchine da Granturismo e non c'era gara più importante della 24 ore di Le Mans per condurre simili auto. La competizione diventa il luogo di una sfida attesa da tempo fra la Jaguar britannica, l'italiana Ferrari e la tedesca Mercedes. Tutti e tre i piani di gara avevano come primo obiettivo quello di sconfiggere gli altri due avversari. 

Alle 4 del pomeriggio dell'11 Giugno 1955 comincia la gara che porterà alla peggiore tragedia che il mondo delle corse ricordi. Castellotti su una Ferrari balza in prima posizione seguito dalla Jaguar di Hawtorn. Fangio, che è partito male, sta correndo a tutta velocità per risalire dalla quattordicesima posizione. Presto riaggancia Hawthorn e lo supera per poi essere a sua volta risorpassato nel giro successivo. Hawthorn e Fangio, superato Castellotti, ripropongono la loro epica sfida di Reims del 1953. Alle 6 e mezza del pomeriggio scocca l'ora della prima fermata ai box. Dopo aver passato la Casa Bianca Hawthorn imbocca precipitosamente il rettilineo principale e si lancia nei box.

Questa manovra prende di sorpresa Macklin, sulla sua più lenta Austin-Healy che viene così costretto ad un brutto scarto a sinistra. Nel frattempo la Mercedes di Pierre Levegh che sta sopraggiungendo si trova la strada sbarrata dalla Austin-Healey. La tampona alla velocità di 250 km/h. L'impatto é tale che l'auto prende il volo e si schianta contro la barriera di protezione che separa gli spalti dalla pista. L'auto si incendia e il motore ed una sospensione staccatisi durante l'urto finiscono nella folla uccidendo 83 persone e ferendone più di 100. 

Ivor Bueb sostituisce Hawthorn, sconvolto dall'accaduto, mentre Moss prende il posto di Fangio e la corsa non si interrompe. Dopo dieci ore arriva dai direttori della Daimler Benz l'ordine di ritirare le ultime Mercedes rimaste in gara, in quel momento al primo e al terzo posto. Finalmente, alle quattro pomeridiane del giorno seguente, l'incubo finisce con la vittoria di Hawthorn sulla sua Jaguar. Il tragico incidente, del quale Hawthorn è stato involontario responsabile, ossessionerà il pilota inglese per il resto della sua vita. Nonostante le proteste dell'opinione pubblica, la settimana successiva si tiene il Gran Premio d'Olanda. Fangio e Moss si ripetono in un'altra doppietta, con primo e secondo posto. La gara seguente, invece, è il Gran Premio di Gran Bretagna, che quell'anno si corre ad Aintree. La squadra Mercedes domina letteralmente la corsa, piazzando le sue quattro auto ai primi quattro posti, con la prima vittoria assoluta di Stirling Moss. Molte gare vengono cancellate a causa dell'incidente di Le Mans. Il Gran Premio d'Italia è l'ultima prova di questo Campionato del Mondo. Le Mercedes vincono ancora con Fangio e si piazzano anche seconde grazie a Taruffi, ma il pilota argentino dopo aver vinto la Targa Florio decide di ritirarsi dalle competizioni. Avendo vinto tutto il possibile Fangio, con quasi il doppio dei punti del secondo qualificato, si laurea Campione del Mondo per la terza volta.



1951


Gli anni Cinquanta: sono gli anni dei mitici piloti Giuseppe Farina, Alberto Ascari, Juan-Manuel Fangio, Gigi Villoresi, José Froiland Gonzalez, Piero Taruffi, Eugenio Castellotti e Stirling Moss. Le prestigiose Case Automobilistiche che partecipano alle competizioni sono Alfa Romeo, Auto Union, Ferrari, Mercedes-Benz, Maserati, Vanwall e Coope. Nel 1951 viene realizzata a Monza l’avveniristica Tribuna Centrale, una costruzione che farà Storia e caratterizzerà l’impianto. Oltre alla pista stradale, il tracciato comprendeva un anello di velocità (o catino dell’alta velocità) lungo circa 4,5 chilometri con due curve sopraelevate in terrapieno..


Gran Premio d’Italia 1951 a Monza, teatro di una
storica sfida tra Alfa Romeo e Ferrari.

Il
Gran Premio d'Italia 1951 si è svolto ad una settimana di distanza dal GP delle Nazioni di motociclismo che aveva occupato il circuito nella seconda domenica di settembre, data abituale per questa gara di Formula 1. La gara fu vinta da Alberto Ascari su Ferrari, davanti al compagno di squadra José Froilán González; per la scuderia del cavallino si trattò inoltre della prima doppietta nella sua storia, oltre al primo successo sul circuito brianzolo.



Mario Andretti

Mario Gabriele Andretti (Montona, 28 febbraio 1940) è un ex pilota automobilistico italiano naturalizzato statunitense,
 attivo sia negli
Stati Uniti che in Europa.
Nato nel 1940 a Montona nell'allora provincia di Pola, all'epoca italiana, lasciò l'Istria nel dopoguerra quando la famiglia, dopo l'assegnazione della regione alla Jugoslavia, fu dislocata in un campo profughi di Lucca. Prima di lasciare l'Italia svolse il lavoro di aiutante meccanico in una officina di Lucca. Appassionato di automobilismo assistette alle prime gare all'età di tredici anni e fu spettatore della Mille Miglia. Nel 1955 ottenne, insieme alla sua famiglia, il visto di ingresso per gli Stati Uniti stabilendosi a Nazareth, in Pennsylvania, e nel 1964 divenne cittadino statunitense.

Nel 1977 la Lotus lanciò il modello 78, la prima vettura da Gran Premio che sfruttava l'effetto suolo. Andretti conquistò 4 vittorie, 7 pole, 4 giri veloci e chiuse terzo nel campionato mondiale.

Con il modello 79 la Lotus diventò imbattibile l'anno seguente, che incoronò Andretti campione del mondo. Le 6 vittorie, i 3 giri più veloci e le 8 pole position dimostrano la superiorità del pilota italoamericano (agevolata anche dagli ordini di scuderia che imposero al suo compagno Ronnie Peterson di non attaccarlo) e della Lotus. La vittoria fu amara in quanto coincise con Gran Premio d'Italia durante il quale proprio il compagno Peterson morì per i postumi di un incidente al via della gara.



La pista dei campioni

1987:Mansell KO nelle prove.

Il clima in casa Williams è teso.Piquet è in testa al mondiale e Mansell ha 12 punti di svantaggio a due gare dalla fine.Il duello però non inizia nemmeno perchè l'inglese, durante le prove, perde il controllo della vettura e si schianta contro le protezioni riportando lesioni alla colonna vertebrale che lo costringono a rinunciare alle speranze iridate.

1988:Il primo titolo di Ayrton.

E' il primo anno di convivenza fra Prost e Senna alla McLaren.Se il brasiliano vince la gara conquisterà il suo primo agognato titolo.Al via Ayrton parte dalla pole ma perde una decina di posizioni mentre Prost scatta in testa.Il brasiliano inizia una mitica rimonta e già a metà gara è in scia al francese che ben presto supera per involarsi alla conquista del primo iride.

1989:Lo scontro alla chicane.

Il secondo anno di convivenza tra Senna e Prost è caratterizzato da un clima litigioso.Il brasiliano è protagonista di una stagione sfortunata.Domina quasi tutti i gran premi ma l'unica McLaren con problemi di affidabilità è risultata sempre la sua.Prost si trova così con un vantaggio di 16 punti a due gare dalla fine.La gara vede Prost al comando con Senna sempre in scia.A sei giri dalla fine tenta l'attacco alla staccata della chicane, supera il francese ma questi lo stringe fino a buttarlo fuori.Prost si ritira mentre il brasiliano riparte, si ferma ai box per cambiare l'alettone, raggiunge e supera Nannini tagliando per primo il traguardo.Viene in seguito squalificato per un fantomatico taglio di chicane.Il titolo va a Prost e Senna non glielo perdonerà mai.

1990:La vendetta.

Prost è passato alla Ferrari ma l'avversario è sempre Senna.Il francese deve vincere assolutamente.Senna parte dalla pole ma Prost scatta meglio e si presenta davanti alla prima curva.Senna non ci pensa due volte e, alla staccata, lo sperona volontariamente.Gara finita e titolo a Senna che dichiara:"A volte le gare finiscono a sei giri dalla fine, altre volte alla prima curva....".

1991:Nulla da fare per Nigel.

A Suzuka Mansell deve assolutamente vincere se vuole conquistare il titolo.Al via Senna lascia passare il compagno di squadra Berger.Senna, in seconda posizione, controlla Mansell che prova in tutti i modi di superarlo fino a commettere un errore che lo toglie dalla corsa.A quel punto il brasiliano si scatena e in pochi giri recupera dieci secondi a Berger fino a superarlo.Davanti al traguardo, però, rallenta fin troppo platealmente lasciando vincere il fedele compagno di squadra.

1996:Duello fra figli d'arte.

Damon Hill e Jacques Villeneuve, sono compagni di squadra nel team Williams.E' la prima volta che i figli di due campioni (rispettivamente Graham e Gilles) si giocano il titolo.Jacques parte male dalla pole e Damon va in fuga.Il canadese rimonta ma al 36° giro, dopo il pit stop, perde una ruota e il titolo che conquisterà comunque l'anno successivo.Damon Hill diventa così campione del mondo come lo fu suo padre.

1998:Il primo di Hakkinen.

Michael Schumacher su Ferrari e Mika Hakkinen su McLaren, sono in lotta per la conquista del titolo.Il sogno ferrarista finisce subito perchè Schumacher, dalla pole, fa spegnere il motore e quindi parte dal fondo dello schieramento.Il tedesco è autore di una fantastica rimonta che lo porta fino al secondo posto ma lo scoppio di un pneumatico lo costringe al ritiro.Il finlandese, Mika Hakkinen, vince così la gara ed il suo primo meritato titolo.

2000:Titolo piloti alla Ferrari dopo ventuno anni.

Michael Schumacher concquista il suo terzo mondiale e riporta il titolo piloti alla Ferrari dopo 21 anni.L'avversario è sempre Mika Hakkinen con la McLaren.Fantastico il duello fra i due contendenti, sempre al massimo dal primo all'ultimo giro.La svolta al secondo pit-stop quando la McLaren, con una strategia sconsiderata,permettono alla Ferrari di passare al comando e vincere.




Una Storia Italiana

Bandini e la formula uno. Una storia come tante altre, uguale ad altre storie di altri piloti che negli anni 60 avevano
 una voglia matta di emergere, di arrivare, di dimostrare di che pasta erano fatti.
 Di carattere calmo e molto serio, Lorenzo rappresentava quello che in gergo si chiama "il bravo ragazzo", un ragazzo che ha costruito il suo debutto in formula uno con tanti sacrifici.
Una storia la sua, coltivata nel garage milanese del Sig.Freddi, che sarebbe poi diventato suo suocero,
dopo
 avere sposato Margherita.



Bandini raccontava che in Italia giunse da Bengasi, dove il padre gestiva un'industria di macchine agricole. A quindici anni arrivò a Milano in cerca di miglior fortuna, senza soldi e con tante speranze. Iniziò come meccanico nel garage di Freddi e quindi la passione per le auto da corsa lo contagiò, collaudando di nascosto le auto dei clienti. Cominciò con una Fiat 1100 TV nella Castell'Arquato - Vernasca e si classificò 15° di classe. Lorenzo continuò con le gare in salita, fino a "centrare" nel 1956 un primo posto nella Lessolo-Alice con una Fiat 8V preparata da lui stesso. Nel 1958 acquista una formula Junior, una Volpini e si iscrive al Gran Premio di Siracusa di quell'anno, classificandosi al 3° posto. Dopo avere acquistato una Stanguellini, vinse il Gran Premio Libertad a Cuba e partecipò al corso indetto dalla Scuderia Centro-Sud di Mimmo Dei, con un' insegnante d'eccezione: Piero Taruffi. Nel 1961 riceve la chiamata di Ferrari e a bordo di una Testa Rossa, vince il Circuito di Pescara. Da quel momento in poi, le vittorie come stradista si susseguono in modo costante, fino alla vittoria alla 24 Ore di Le Mans. Vince l'unico Gran Premio di F1 nel 1964 in Austria. Nel 1967 vince in coppia con Amon la 24 Ore di Daytona, ma lui non si monta la testa, rimane sempre con i piedi per terra. Lui non è una prima donna, è solo un pilota che ama il suo mestiere. Poi arriva il 7 maggio 1967, il Gran Premio di Monaco, la morte che prima lo sfiora e poi lo prende definitivamente, il 10 maggio lasciandoci la nostalgia di quel "bravo ragazzo".

Senza dubbio Bandini fu il pilota italiano più amato dagli italiani degli anni '60. Iniziò a correre per la Scuderia Centro Sud di Mimmo Dei, abbandonando il sogno di esordire a bordo di una Ferrari messa a disposizione dalla FISA, che preferì Giancarlo Baghetti. Esordì come pilota di F.1 nel Gran Premio del Belgio del 1961. Enzo Ferrari lo chiamò a Maranello nel 1962.


Lorenzo Bandini

7 maggio 1967
venticinquesima edizione del gran Premio di Monaco

                                                           
I principi regnanti Ranieri e Grace, come prassi vuole, sono tra i numerosi spettatori disseminati lungo il tracciato del circuito Monegasco.
E' domenica, la domenica del Grand Prix.
Gente dappertuttto: alle finestre delle case, sugli yachts, lungo la pista che si snoda tra il mare e il celebre Casinò. Bandini è la grande speranza di tutti gli innamorati della rossa e non vuole tradire le attese, sente la responsabilità. Lorenzo Bandini sta ultimando gli ultimi preparativi prima di scendere in pista.
Alle ore 15 va in scena il Gran Premio di Montecarlo.
             
 Un pubblico numerosissimo  fa da cornice allo svolgimento della gara

Monaco è il salotto della F1, una gara particolare, prestigiosa ma anche maledettamente difficile.
E' la sfida tra il pilota e il tracciato e le sue mille insidie.
Bandini quest'oggi è il personaggio. Il pronostico lo dà favorito.


La gente grida "Lorenzo! Lorenzo!"
E' venuto il momento di dire addio al folklore.
Bisogna pensare solo ad andare forte.
A vincere.



I piloti si preparano, la tensione sale, poi rombano i motori. Chiron piega una ad una le dita della mano sinistra. Nell'altra ha già pronta la bandiera che darà il via alla corsa.
A quell'epoca non c'erano i semafori.
Il tricolore di Francia s'abbassa e in una nube di fumo scattano prontea sparire dietro la curva.               


 I piloti sono:
Bandini - Brabham - Hulme - Stewart - Clark - Hill - Amon - Surtees - Rindt - McLaren -
Rodriguez - Gurney - Courage - Servoz Gavin - Siffert - Spence
   

La sua Ferrari ha il numero 18 ed è subito al comando

La partenza della vettura n°18, la Ferrari di Bandini, è fulminea: prende subito il comando
sembra in grado di dominare la gara.

Sulla salita di St.Devote è prima la rossa Ferrari di Bandini , così come
al "virage Massenet". che passa vicino al Casinò, e ancora al "Mirabeau",
una curva in discesa che conduce alla vecchia stazione. Poi c'è il " tunnel"
e all'uscita la "chicane", la "curva dei tabacchi" ed in ultimo la "curva del
gasometro" che porta davanti ai box.

E' il primo giro e Bandini è sempre in testa con un secondo e mezzo su
Denis Hulme

Al secondo giro Jack Brabham "sbiella" il motore Repco della sua Brabham, inondando la pista d'olio causando una serie di testa coda e di uscite tra i piloti dietro di lui.


Quando Bandini passa in quel punto non essendo stato segnalato l'olio in pista è ignaro di cosa lo sta aspettando e colto di sorpresa si ritrova girato in un baleno.



Quando riesce a riprendere la corsa si trova in terza posizione dietro a
Hulme e Stewart, ma l'auto è a posto e può partire nella generosa rimonta.


Stewart si ritira per problemi meccanici e cosi Bandini è secondo tallonato da Surtees, ma Hulme è lontano.


Una Ferrari e una Honda entrambe a 12 cilindri. Surtees
era il numero uno della Ferrari, ma ebbe dei dissensi e se ne andò da Maranello.

Clark oggi è dietro, corre con un vero pezzo da museo una Lotus Climax ma riesce sempre a dare spettacolo.




L'uscita della Lotus 33 di Clark al 44°giro, testimonia le terribili
condizioni del tracciato monegasco e le primordiali barriere protettive


Al 42° giro Bandini ha un distacco di 15"4 da Hulme.
A metà corsa, dopo 50 giri, solo 8"3 lo separano dal neozelandese.
Dieci giri ancora e il distacco si è fatto più piccolo 7"6 tra Bandini e Hulme.

La Ferrari n°20 di Chris Amon è lontana.


Amon ha un distacco di 25 secondi da Denis Hulme.
Al box della Ferrari Margherita Bandini continua a segnare i tempi.
Bruce McLaren è in terza posizione.


Sessantuno giri compiuti. Trentanove ancora ne restano.
Ma succede qualcosa.


Un giro ancora il distacco sale a 11 secondi. 14"8 al 70° giro.
Bandini deve superare due doppiati Rodriguez e Hill.
Il primo Rodriguez, si lascia agevolmente superare,
ma il secondo Graham Hill, dà filo da torcere al pilota della Ferrari.


Hill ha ancora infatti il dente avvelenato per un fatto accaduto nel lontano Gran premio del Messico del 1964, quando Bandini, per giochi di squadra, tenne dietro il pilota scozzere seppur in procinto di essere doppiato.



La Honda di Surtees cede.

Bandini impiega oltre due giri
per passare Hill


Bandini supera Rindt (doppiato che poi abbandana causa motore).
Decide di non accontentarsi della seconda posizione
cerca di agganciare Hulme.



Qui avviene la svolta della gara. Quando Bandini riesce a superare Hill, sembra svuotato, sfinito. Dal 65° all'80° giro il distacco aumenta fino a 20 secondi. Infine arriva l'82° giro.


All' 82° giro la Ferrari numero 18 entra nell' imbuto della chicane del porto ad una velocità visibilmente superiore a quella degli altri piloti e a quella tenuta da Bandini stesso fino a quel momento. La sua auto non tiene più la strada, carambola da una parte all' altra della curvetta d' immissione sulla banchina, si dirige con il muso contro una bitta di ormeggio. E poi si solleva in aria per ricadere rovesciata con il pilota tra le lamiere, ormai avvolto dalle fiamme, e percorre impazzita trenta lunghissimi metri, con le ruote in aria.


Vede passare Hulme e conta. Dieci, diciotto, venti.
Perche non passa? Sono passati venticinque secondi.
Ed è passato McLaren e Amon. Dov'è Lorenzo?
La voce dello speaker comunica:
Incidente a Bandini



Margherita Bandini afferra quella frase in francese
ma sembra non capire. Ha sentito "Bandini".
Ma il resto? Dà un altro sguardo alla lancetta.
Passa veloce la verde Brabham di Hulme. Punta gli
occhi verso il mare, laggiù dove c'è la "chicane".
E' un attimo. Si alza un pò verso l'alto e una indefinibile inquietudine l'assale. Impallidisce di colpo, apre la mano e lascia cadere il cronometro.


 

Incomincia a tremare. Lo sguardo fisso dove sale una densa
nuvola di fumo. I nervi le cedono. Ora trema tutta. Sono momenti
terribili, allucinanti. Il film di una vita si svolge di colpo.


In pochi minuti, davanti agli occhi di Margherita Bandini balenano gli attimi più belli, quegli attimi
che da adesso sono solo un ricordo.


Occorrono tre interminabili minuti ai commissari di pista
per estrarre il corpo di Bandini dalla carcassa infuocata della Ferrari n°18.
La Signora Margherita rimane annientata.
 
È un momento drammatico: sulla carcassa della vettura in fiamme intervengono con gli estintori i commissari di gara, convinti che il pilota sia stato sbalzato via nell'impatto. Lo si cerca nella banchina, c'è chi teme sia finito in mare, come Alberto Ascari nel 1955. Quando poi, dopo circa 3 minuti e mezzo dall'incidente, l'incendio della Ferrari è domato si scopre l'orrenda verità: Bandini è ancora lì, privo di conoscenza e col volto sfigurato. I commissari di gara e due civili (il Principe di Borbone Parma e l'amico Giancarlo Baghetti) ribaltano la vettura ed estraggono Bandini ormai in fin di vita, sotto gli occhi attoniti della moglie Margherita, che pur rimane in un dolore composto
(«In caso d'incidenti, non fate drammi» aveva chiesto più volte Lorenzo).


Viene chiamata una Lancia, che lo trasporta al Nosocomio di Montecarlo, dove viene immediatamente operato per asportargli la milza e tentare di tamponare le gravissime lesioni: le lamiere gli hanno perforato il fianco sinistro, danneggiandogli la milza e il polmone sinistro; ma soprattutto l'intero corpo, per il 60%, è coperto da ustioni gravissime. La situazione appare subito drammatica.

Lorenzo è gravissimo. Lo apprende la sera quando un medico
la chiama, non importa se per tre giorni spererà, per lei Lorenzo se ne è andato quando
le ha dato un bacio prima del via, quando le ha detto: Ciao, Gio'.
Sono state le ultime parole.
Poi è andato incontro al suo crudele destino.
Ogni tentativo dei medici risulta vano e Lorenzo Bandini muore, dopo settanta ore di agonia,
il 10 maggio 1967.

La monoposto del ferrarista verrà trovata in 5° marcia quando avrebbe dovuto essere in 3°: la tesi più accreditata sarà quindi quella della stanchezza del milanese, che aveva dato il massimo e forse anche di più. Ma tutto ha congiurato per rendere più terribile l'incidente. Per esempio, la presenza, alla curva della chicane, di sbarre metalliche per l' attracco delle navi, che impediscono alla vettura di finire in mare. La presenza di balle di paglia ai lati della pista: sono le prime ad incendiarsi e ad alimentare le fiamme all'interno della vettura. L' olio sparso sull'asfalto dalla vettura di Brabham, che può aver favorito la perdita di controllo. L'attrezzatura degli addetti ai servizi antincendio, che non indossano le speciali tute in amianto, come è invece diventerà obbligatorio di lì a poco in Inghilterra, e che perciò hanno impiegato più tempo per avvicinarsi alla vettura ad accorgersi del corpo del pilota ancora incastrato. Per tre minuti e mezzo Bandini rimane in balia delle fiamme, tanto che, esaurita la carica dei primi estintori, i vigili devono correre a prenderne degli altri più capaci, distanti qualche decina di metri: tutti preziosi istanti persi.



 1° D.Hulme - Brabham Bt20  - Giri 100 2h34m,
  2° G.Hill - Lotus 43 - Giri 99 - 3° C.Amon Giri 98
Margherita Freddi Bandini vedova da qualche mese viene nvitata alla premiazione del Gran Premio d'Italia vinto da John Surtees.


La notizia dell’incidente di Bandini viene riportata dai giornali di tutto il mondo.

LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

Lorenzo Bandini, per le gravi ferite riportate muore 3 giorni dopo, il 10 maggio 1967 all’ospedale di Montecarlo.
In suo omaggio, quando la salma rientra all’aereoporto di Linate, lungo viale Forlanini, il viale che porta all’aereoporto, sono schierate due file di auto disposte a spina di pesce, proprio come per la partenza di una gara di Le Mans.

E narrano le cronache dei giornali dell’epoca che quando esce il carro funebre con la sua salma dall’aereoporto, la folla che si è raccolta ad attenderlo gli tributa  un lungo applauso. Sembra che sia la prima volta che in Italia, venga tributato onore ad un morto battendogli le mani.

Ai funerali di Lorenzo Bandini partecipano oltre 100.000 persone, la moglie Margherita si chiude in un doloroso riserbo

Stagioni in Ferrari:

Gran Premi disputati: 35 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - Pole position: 1
1966 G.P. di Francia - Giri Veloci: 2 - 1966: G.P. di Monaco - G.P. di Francia Vittorie: 1

1964: G.P. d'Austria Secondi posti: 2 - 1965: G.P. di Monaco - 1966: G.P. di Monaco - Terzi posti: 5
1962: G.P. di Monaco - 1964: G.P. di Germania - G.P.d'Italia - G.P. del Messico
1966: G.P. del Belgio


                                          Gran Premio d'Italia
                          10 Settembre 1967 - Monza 68 giri x 5.750 Km - 391.000 Km

Griglia di Partenza

1. J.CLARK
Lotus Ford Cosworth
1'28''50
2. J.BRABHAM
Brabham Repco
1'28''80
3. B.McLAREN
McLaren BRM
1'29''31
4. C.AMON
Ferrari
1'29''35
5. D.GURNEY
Eagle Weslake
1'29''38
6. D.HULME
Brabham Repco
1'29''46
7. J.STEWART
BRM
1'29''60
8. G.HILL
Lotus Ford Cosworth
1'29''70
9. J.SURTEES
Honda
1'30''30
10. L.SCARFIOTTI
Eagle Weslake
1'30''80
11. J.RINDT
Cooper Maserati
1'31''30
12. M.SPENCE
BRM
1'32''10
13. J.SIFFERT
Cooper Maserati
1'32''30
14. J.BONNIER
Cooper Maserati
1'32''50
15. J.ICKX
Cooper Maserati
1'33''00
16. C.IRWIN
BRM
1'33''20
17. G.BAGHETTI
Lotus Ford Cosworth
1'35''20
18. G.LIGIER
Brabham Repco



Nel 1967 dopo la morte di Bandini nell'incidente al Gran Premio di Montecarlo,
la Ferrari continuò la stagione con una sola vettura, nei Gran Premi del Nurburgring,
del Canada, del Gran Premio d'Italia, degli Stati Uniti e del Messico.

Quando chiesero a Ferrari di ricordarlo, anch’egli non poté fare a meno di riandare
a quell’ultima, orribile immagine:

"Ricordo quel giorno di maggio del 1967. Ero nel mio studio di Maranello,
 davanti al televisore…Quando vidi il grosso fungo nero di fumo che deturpava sinistramente la baia di Montecarlo…sentii
che quella macchina
 in fiamme era una delle mie.
Ora non so dire perché, ma intuii Bandini nel rogo e fui sicuro che non lo avrei più visto”.

A causa dei numerosi incidenti.....
L'onorevole Loris Fortuna, del PSU, presenta una interrogazione alla Camera
chiedendo che siano proibite le corse in Italia.

I giornali si chiedono con angoscia se sia davvero utile uno sport così rischioso.
Violente polemiche sorgono in Francia e in Italia sull’opportunità di organizzare competizioni automobilistiche.

Nei giorni successivi a questo doloroso evento Enzo Ferrari disse che non avrebbe più sopportato veder morire
 un pilota italiano in una Ferrari. Fu poi il
giovane pilota belga Jacky Ickx nella stagione 1968 a sostituire Bandini.







                  Gran Premio di Monaco - 21 maggio 1950


Dopo due sessioni di qualifica, come da tradizione al giovedì e al sabato, dove Charles Pozzi, Yves Giraud-Cabantous, Pierre Levegh
e Clemente Biondetti non partono, la griglia di partenza viene condizionata pesantemente dal grave incidente occorso all'argentino
Alfredo Pián il quale, a causa di una macchia d'olio, va a sbattere contro la tribuna con la Maserati fratturandosi una caviglia,
 e non prenderà più parte a una gara di Formula 1. La sessione del sabato viene sospesa definitivamente e le posizioni
 vengono stabilizzate ai cinque migliori tempi ottenuti nella prima sessione di prove: dalla sesta in avanti i tempi della seconda sessione.
 Questo sistema penalizzerà soprattutto Luigi Villoresi che, pur avendo ottenuto il secondo tempo assoluto,
partirà dalla terza fila in sesta posizione.


Al primo giro della gara si verifica un rovinoso incidente multiplo quando un'ondata improvvisa invade la curva del Tabaccaio. Fangio, già in testa, riesce a evitarla e Nino Farina in quel momento in seconda posizione, si scontra con la Maserati di González che prende fuoco. L'argentino riesce in breve tempo a uscire dalla vettura con qualche ustione, e altri piloti, tentando di evitare le due vetture, effettuano collisioni tra loro. Luigi Fagioli, in quinta posizione, sterza bruscamente, andando in testacoda e viene urtato dal sopraggiungente Louis Rosier. Nella carambola si ritirano complessivamente dieci piloti (tra un parco partenti di 19). Soltanto Fangio riesce a evitarla restando in testa alla gara. Luigi Villoresi viene attardato in maniera irreparabile al secondo giro dalla pista ostruita dalle vetture incidentate.
Escono subito di scena due grandi protagonisti del Gran Premio di Gran Bretagna, Farina e Fagioli, mentre Villoresi tenta una rimonta portandosi, al 55º giro, a 32 secondi da Fangio, prima di arrendersi al 63º giro per problemi alla trasmissione. Prima, al 36º giro, si era ritirato anche
Philippe Etançelin per una perdita d'olio.

Alla fine Juan Manuel Fangio, dopo avere doppiato tutti, e senza grandi problemi, riesce a conquistare la sua prima vittoria in Formula 1,
 raggiunge Farina in testa alla classifica con 9 punti e ottiene il primo “Grand Chelem” della storia: pole position, fastest lap,
vittoria della gara condotta sempre in testa. Con la media oraria di 98,701 km/h, è il Gran Premio più lento di sempre.
La Ferrari 125 non si è dimostrata all'altezza delle Alfa Romeo,
e già Enzo Ferrari comincia a pensare ad una vettura tutta nuova,
con motore aspirato.


Lodovico Scarfiotti classe 1933:"Gentleman driver".
Nell'ambiente delle corse, il gentleman driver era colui che affrontava le stagioni agonistiche pagando di tasca propria vettura, trasferte e tutto quant'altro orbitava nel mondo delle quattro ruote.
Lodovico era uno di questi. Poco di lui si trova nei nuovi libri dell'automobilismo sportivo, se non la bellissima vittoria al 37° Gran Premio d'Italia a Monza nel 1966 con la Ferrari. Di famiglia facoltosa torinese, nipote di uno dei fondatori della FIAT e parente stretto degli Agnelli, trapiantato a Porto Recanati, ama i prototipi che senza ombra di dubbio preferisce alla massima formula.
Stradista perfetto si cimenta e vince molte gare in salita, vincendo nel 1962 e 1965 il Campionato Europeo della Montagna. Un fatto singolare da ricordare di questo pilota, risale al Giro di Calabria del 1958. Nelle vicinaze di Nicastro, Lulù arriva velocissimo prima di una curva in discesa, che naturalmente affronta senza staccare il piede dall'accelleratore. Risultato: volo in una scarpata e macchina rovesciata senza possibilità di uscita del povero Scarfiotti. Uno spettatore che per puro caso passava nei paraggi, aiuta Lodovico ad uscire da quella posizione insolita. Scarfiotti non riportando nessuna ferita, fa amicizia con il suo "salvatore", godendosi assieme il resto della gara seduti su di un muretto.
Due anni dopo, Scarfiotti si ripresenta la via del Giro di Calabria. Pronti-Via. Stesso punto, stessa curva, stessa velocità e naturalmente stesso volo.
 Da non credere, si presenta la stessa persona che due anni prima lo aveva tolto dalla "scomoda posizione"
che dopo averlo riconosciuto, lo porta all'ospedale.
Dal 1958 al quel 8 giugno 1968, giorno della sua morte avvenuta a Rossfeld in Germania in seguito a incidente automobilistico,
Scarfiotti si alternò tra vetture a ruote coperte e scoperte, riportando appunto la vittoria in due Campionati Europei della Montagna,
la vittoria a Monza del 1966, dove il prescelto al podio dalla Casa di Maranello era Bandini. Ma la sorte sorrise a Lodovico Scarfiotti
dopo avere ingiustamente, causa il distacco del tubo dell'alimentazione, tolto di scena Bandini.
 Infine l'indimenticabile arrivo con il 2° posto in coppia con Parkes alla 24 Ore di Daytona nel 1967.



Nel 1966, Schlesser entrò nella scuderia Matra di Formula 2 e corre anche con la Ford GT40 nelle gare per prototipi. Durante la sua permanenza alla Matra partecipò a diverse competizioni, comprese le edizioni 1966 e 1967 del Gran Premio di Germania di Formula 1, dove furono ammesse vetture di Formula 2 per riempire lo schieramento. Nel 1967 vinse la 12 Ore di Reims su una Ford GT40 MkII con il suo amico Guy Ligier La Honda RA302, vettura a lui fatale..

Schlesser accettò nel 1968 l'invito della Honda di guidare la sperimentale RA302 al Gran Premio di Francia disputato sul circuito di Rouen.
La vettura era costruita con telaio in magnesio, materiale estremamente infiammabile e la prima guida John Surtees la considerò troppo pericolosa al punto di rifiutarsi di portarla in gara.

Schlesser invece accettò, ma rimase coinvolto in un incidente all'inizio del terzo giro schiantandosi con la sua vettura alla curva Six Fréres e morì nel furioso incendio che ne scaturì, alimentato dal pieno di carburante e dalla struttura in magnesio del telaio.

In ricordo del pilota e amico tragicamente scomparso, Guy Ligier denominò le vetture costruite dalla sua azienda con una sigla alfanumerica che iniziava sempre con le letter JS, le iniziali di Jo Schlesser.




La leggenda delle Frecce d'Argento - 1954


L'avventura delle Mercedes in F1 inizia nel 1954. Il 4 luglio del '54 la Mercedes è finalmente pronta per disputare
il suo primo gran premio di F1. Il gran premio di Francia, la gara del debutto per le Mercedes, è la seconda prova europea
del mondiale di F1 e la quarta prova assoluta del mondiale dopo l'Argentina, Indianapolis (che però nessun team
e pilota che corre per il mondiale di F1 disputa) e Spa. Fangio, che nel frattempo ha corso con la Maserati,
è il pilota di punta della Mercedes in un team composto anche da Kling ed Herman.

 A quell'epoca nessuna regola imponeva di correre con le ruote scoperte. Così la Mercedes presentò il modello w196
con le ruote incluse nella sagoma della carrozzeria. Fangio definì la vettura "sensazionale e perfetta"
e in effetti in gara le Frecce d'argento non hanno rivali: Fangio e Kling chiudono nelle prime due posizioni.

Mercedes-Benz W196 Streamliner

L'avventura delle Mercedes, guidata dal mitico Neubauer, parte con il piede giusto, ma al successivo gp, quello di Silverstone, Fangio deve accontentarsi di chiuedere al 4° posto (pur dopo una pole costruita con il suo talento) perchè la macchina
non è adatta al tracciato.
Così, Fangio chiede delle modifiche: nuovi freni applicati al mozzo (per avere una migliore aderenza anteriore) ed una versione non carenata della monoposto per il tortuoso tracciato del Nurburgring.
Con queste modifiche, Fangio e la Mercedes stravincono nella gara tedesca anche se per gli argentini è un momento
difficile dopo la morte di Marimon. Fangio è distrutto dalla morte di quello che considera il suo allievo.

Con il successo nel gran premio di Svizzera, Fangio si laurea campione del mondo.


1955 - Il ritiro ufficiale dalle corse della Mercedes

 Alla fine della stagione 1955 la Mercedes si ritirò dalle gare nello stesso modo fulmineo com’era entrata.
 Avevano provato la superiorità della loro tecnologia, ma fu il terribile disastro di una delle sue vetture sport, guidata da Pierre Levegh alla 24 Ore di Le Mans di quell'anno, che provocò il decesso di 83 persone, a comportare il ritiro dalle competizioni. La casa tedesca resterà lontano dalla Formula 1 fino al termine della stagione 1993.
Dopo la tragedia di Le Mans, lo sport automobilistico ne uscì totalmente sconvolto: tre Gran Premi ancora da disputarsi vennero immediatamente cancellati e il governo svizzero annunciò il bando totale alle corse automobilistiche disputate sul suo territorio nazionale (tutt'ora in vigore.
 Il gran premio di Svizzera del 1982 fu disputato in Francia,a Digione).


      

La Maserari  del pilota argentino Onofre Marimon al GP del Nurburgring del 1954.
La macchina in una curva sbanda e Marimon  rimase ucciso all'istante.  Il  compagno di squadra Luigi Villoresi si è ritirato dalla gara






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1961  -  Tragedia a Monza, la corsa va avanti


  Al secondo giro della gara e all'altezza della curva Parabolica, la Ferrari 156 guidata da Wolfgang Von Trips entrava in collisione con la Lotus di Jim Clark. Nel tremendo impatto, l'auto come una bomba schizzava sulle tribune degli spettatori, uccidendo all'istante 14 persone compreso lo sfortunato pilota. Il barone Wolfgang von Trips, ultimo erede di una dinastia di nobili tedeschi, aveva debuttato in Formula 1 nel 1957 al volante di una rossa Ferrari, passando in seguito alla guida di vetture Porsche e Lotus per ritornare poi nella scuderia di Maranello.
 

       Wolfgang von Trips

Storia di sfortuna e di morte quella di Wolfgang von Trips, sicuro vincitore del mondiale 1961 se non fosse arrivata la curva della Paraboloca di Monza, e con essa, l'impatto fra la sua Ferrari e la Lotus di Jim Clark: l'aggancio fra le due vetture, provocò la morte non solo di von Trips, ma anche di tredici spettatori, che furono falciati dalla Ferrari impazzita e dai suoi detriti.

Il barone tedesco, innamorato della velocità, aveva debuttato in F.1 nel Gran Premio di Argentina del '57 al volante di una vettura del Cavallino rampante, poi aveva guidato anche per Porsche e Cooper, per tornare infine con la scuderia di Maranello per la quale quel 10 settembre '61 guidava una "156".

In quello che sarebbe stato l'ultimo anno di corse e di vita, von Trips era il candidato numero uno al successo finale, tanto che, nonostante l'incidente di Monza lo abbia bloccato a 33 punti, dopo il Gran Premio d'Italia e quello degli Stati Uniti, il barone tedesco alla fine del mondiale risulterà comunque secondo nella classifica generale alle spalle del suo compagno di squadra Phil Hill.
Solo la morte ha potuto privare von Trips di un titolo ampiamente meritato.






Sulla carta, il Team Fittipaldi non doveva essere un piccolo team, ma nei fatti lo è stato. Spesso, nonostante l’impegno non arrivano i risultati e non sai spiegarti il motivo ma nel caso del team dei Fittipaldi le ragioni dell’insuccesso sono state ben chiare, almeno a chi ci ha lavorato all’interno: Jo Ramirez.
Ramirez parla della sua avventura brasiliana nel suo libro autobiografico, “Un uomo da corsa”. Jo era sbarcato alla Fittipaldi nel 1974 quando il team aveva fatto la sua comparsa sulle piste. Alle spalle della compagnia c’era la Copersucar, ma nonostante questo non solo il team non navigava nell’oro ma non era neppure agevolato nelle sue attività dallo stato brasiliano (tanti problemi con le dogane). La progettazione della monoposto era affidata a Richard Divila, un ragazzo promettente e di talento. Dopo una prima stagione non esaltante, nel 1976 il team doveva fare il suo salto di qualità grazie all’arrivo del campione del mondo Emerson Fittipaldi. Emerson aveva deciso, alla fine, di firmare per il proprio team, di correre in prima persone sulle proprie auto. Quello che sulla carta doveva essere un vantaggio, un guadagno, si trasformò in una delle principali cause della crisi. L’atteggiamento di Emerson infatti non fu quello giusto. In primis, egli interferiva troppo con la parte progettuale imponendo le sue idee tecniche.
Emerson insisteva sulle sue idee anche se esse erano sbagliate. Nel proseguo della stagione E. Fittipaldi, probabilmente perchè abituato a competere con la possibilità concreta di vincere, perse le motivazioni e iniziò a “vivacchiare”. Spesso se un top driver lo doppiava, lui riusciva a stargli incollato per molti giri facendo fare un balzo in avanti al proprio ritmo-gara. Alla fine proprio questo clima assurdo portò Jo Ramirez a chiudere con la Fittipaldi e ad accettare la sfida della Shadow, che è proprio la seconda storia che vi racconteremo oggi. La storia della Shadow è connessa ad una faccenda di spionaggio. Infatti tutti i tecnici della Shadow si trasferirono alla Arrows, portandosi dietro tutti i disegni. Così, la Shadow e la Arrows si trovarono a schierare due auto esattamente identiche. Alla fine, quando il boss della Shadow vinse la causa, la Arrows ormai aveva pronta una nuova vettura. Nel frattempo Ramirez era riuscito a ricostruire un team sfasciato, partendo pensate, dalla dote di “ben” due operai. Tra gli altri, pensate, fu ingaggiato da Ramirez un certo Nigel Stepney un uomo che oggi si è rovinato pesantemente l’immagine con la spy story del 2007, ma che è stato considerato per anni uno dei grandi professionisti della f1. Alla fine, grazie agli sforzi di Ramirez il team riuscì a partecipare il mondiale e a cogliere prestazioni dignitose.



Sogni spezzati di grandi promesse
   
Gartner Winkelhock Bellof

Dopo alcuni anni difficili, nel 1983 l’Ats riuscì ad ottenere la fornitura dei turbo Bmw e l’anno seguente la potenza del motore fece emergere il talento di Winkelhock, anche se la cronica mancanza di affidabilità finì per vanificare il tutto, come ad esempio a Zolder, quando il tedesco fu costretto al ritiro mentre era in terza posizione. Il rapporto tra le parti si chiuse nel peggiore dei modi: Winkelhock lasciò il team e chiuse la stagione in Brabham, poi passò alla modesta Ram con cui corse fino a metà del 1985, quando perse tragicamente la vita durante la 1000 Km di Mosport valida per il mondiale Endurance, categoria nella quale correva con successo contemporaneamente alla F1.

Al debutto stagionale del 1984 sul circuito di Jacarepagua, tutti i team si schierarono con il motore Turbo ad l’eccezione della Tyrrell, ancora legata al vecchio Ford Cosworth: una vera e propria beffa per la scuderia del “boscaiolo”, che negli anni settanta non accettò la proposta della Renault di portare al debutto il proprio motore sovralimentato. Nell’occasione fece il suo debutto il promettente Bellof, testato anche dalla Mclaren ma “bloccato” dal suo sponsor Rothmans: 22esimo in prova a 8.2 sec. dalla pole di De Angelis, si ritirò dopo soli 11 giri, mentre poche settimane dopo strabiliò tutti a Montecarlo (oscurato in parte dalla prestazione incredibile di Senna) e per tutto l’anno si dimostrò veloce e costante, pur limitato da una vettura poco competitiva, poi squalificata per un’irregolarità di gestione del peso della vettura. Pilota dal radioso avvenire, Bellof correva contemporaneamente il mondiale endurance (vincendolo), dove trovò la morte l’anno successivo durante la 1000 Km di Spa.

Nonostante corse spesso con vetture obsolete, Jo Gartner si fece notare nelle formule minori, tanto da trovare uno sponsor che gli permise di correre parte del 1984 con l’Osella, scuderia con la quale centrò un quinto posto a Monza. Passato alle vetture sport, morì durante lo svolgimento della 24 ore di Le Mans del 1986.



L’evoluzione del marchio Alfa e Alfa Romeo


1910 - Il primo manifesto pubblicitario dell'ALFA



 






Alfa Romeo 158 "Alfetta"




A fare grande la Casa milanese in F.1 furono gli esordi del campionato del mondo, quando Farina e Fangio svettarono nelle stagioni '50 e '51. Poi l'Alfa decise di ritirarsi dalle competizioni della massima categoria, ripresentandosi in pista nel '76 come fornitore di motori per la Brabham prima di scendere in campo con unproprio team. Ma più che successi, la squadra del Biscione accumulò delusioni, fino a cedere il proprio materiale all'Euroracing e i motori all'Osella: con la scuderia piemontese, i motori Alfa «girarono» fino all'87.

L'Alfetta 158 : un primato tutto italiano

Gli anni più gloriosi dell'Alfa Romeo sono legati alle prime due stagioni del campionato del mondo di F.1, quando, per due anni di seguito, Nino Farina prima e Juan Manuel Fangio poi, svettarono nei mondiali '50 e '51. La prima stagione iridata fu caratterizzata dall'en plein messo a segno dalla Casa milanese, che vinse tutti i Gran Premi in calendario ad esclusione di Indianapolis, cui però i team europei non partecipavano. L'arma formidabile che permise all'Alfa l'exploit del '50, fu la «158», meglio nota come «Alfetta», cui seguì la «159» - naturale evoluzione della macchina campione del mondo - con la quale la Casa del Portello disputò il mondiale '51. Ma quello fu l'ultimo anno in F.1 dell'Alfa: paga dei successi ottenuti, la Casa milanese decise infatti di abbandonare le competizioni per capitalizzare i risultati ottenuti. Una decisione cui contribuì l'evidente crescita che stava caratterizzando un'altra scuderia: la Ferrari. Che dimostrò appunto il suo potenziale vincendo il mondiale '52, e ripetendosi in quello successivo con Ciccio Ascari.

Alfa Romeo 159 (Formula 1)

L'Alfa Romeo 159, si aggiudica i primi 3 Gran Premi del mondiale 1951 di Formula 1, e cioè, il Gran Premio della Svizzera del 27 maggio, con Juan Manuel Fangio, il Gran Premio del Belgio, del 17 giugno, con Nino Farina, ed il Gran Premio di Francia del 1º luglio, ancora con Fangio. Si aggiudicherà, infine, anche l'ultimo Gran Premio di quell'anno, e cioè, il Gran Premio di Spagna del 28 ottobre. Da notare che in tutti e 7 i Gran Premi di quell'anno (non considerando la 500 Miglia di Indianapolis) l'Alfa 159 si aggiudica il giro più veloce in gara, 5 volte con Fangio, e 2 volte con Farina, dimostrando notevolissime doti velocistiche e di guidabilità.

Altri Gran Premi vinti nel 1951, ma non validi per il mondiale, sono: il V Ulster Trophy del 2 giugno, con Farina; il V Gran Premio di Bari del 2 settembre, con Fangio, ed il IV Goodwood Trophy del 29 settembre, ancora con Farina.

Il ritorno con la «177»

Fino al 1976, non si sentì più parlare di Alfa Romeo in F.1, finché, in quella stagione appunto, la Casa del Biscione fornì i suoi dodici cilindri piatti alla Brabham, riuscendo a spingerla alla vittoria in due occasioni nel '78 con Niki Lauda. Ma l'Alfa stava pensando a ben altro che a una sola fornitura motoristica: nel 1979 debuttò infatti la monoposto siglata «177», dotata di motore boxer 12 cilindri. A pilotarla fu chiamato Bruno Giacomelli, che l'anno prima aveva dominato in maniera clamorosa il campionato europeo di F.2 con la March. Dal Gran Premio d'Italia, al pilota bresciano si affiancò Vittorio Brambilla. Alla prima vettura seguì la «179» e nell'80 Vittorio Brambilla venne sostituito da Patrick Depailler, sul quale l'Alfa contava molto per le sue acclarate doti di collaudatore. I maggiori difetti della macchina risiedevano in un peso elevato dovuto non solo al telaio, ma anche a un motore che per esprimere tutta la sua potenza (520 CV a 12.400 giri) aveva bisogno di «bere» molta benzina. Ma Depailler aveva fiducia di riuscire a sgrezzare la «179» e intensificò i test. In uno di questi, sul circuito di Hockenheim, in preparazione del Gran Premio di Germania, il pilota francese uscì però di strada per ragioni che sono rimaste misteriose (come spesso accade nelle corse) schiantandosi in un terribile impatto. Giacomelli restò solo, e nel Gran Premio che si disputò nove giorni dopo, raccolse un quinto posto che, unito allo stesso risultato ottenuto in Argentina, portò a quattro i punti conquistati dall'Alfa nell'intera stagione. Sul finire dell'anno, Giacomelli dimostrò quanto valesse quella vettura, realizzando ottimi tempi in prova e addirittura la pole position a Watkins Glen: performance che però non trovarono poi riscontro in corsa.

Dalle delusioni all'Euroracing

C'era quindi da lavorare sull'affidabilità, partendo da una base di prestazioni ottima: per la stagione successiva l'Alfa immaginò ben altre situazioni nel mondiale di quelle che invece si produrranno: Mario Andretti riuscì infatti a raccogliere solo un quarto posto a Long Beach, per la restante metà della stagione si accumularono delusioni su delusioni. Alla base c'era anche il fatto che la «179 C» risentiva più di altre monoposto del divieto delle «minigonne», una norma che aveva portato i tecnici di Arese a modificare la conformazione aerodinamica della vettura. Come nell'anno precedente, anche in questo 1981, Giacomelli riuscì a far alzare nuovamente la testa all'Alfa proprio sul finire della stagione. In quella successiva, Andrea De Cesaris rilevò Mario Andretti, ma la nuova «182» non riuscì a raccogliere punti fino al Gran Premio di Montecarlo, dove una corsa che ridotta ad una vera e propria lotteria a causa degli scrosci di pioggia e delle numerosissime uscite di pista, assegnò al pilota romano il podio con il terzo posto. Mentre il motore 8 cilindri turbo veniva collaudato sulla pista del Balocco da Giorgio Francia, Giacomelli e De Cesaris dovevano combattere col 12 cilindri ormai superato rispetto alle motorizzazioni turbo della Ferrari e della Renault. Anche il telaio, disegnato da Ducarouge, non sembrava all'altezza della situazione: la stagione si chiuse così col decimo posto nel mondiale costruttori, evidenziando una situazione difficile nel team sia a livello tecnico sia gestionale. In conseguenza di ciò, Ettore Massacesi, presidente dell'Alfa Romeo, decise di cedere tutto il materiale all'Euroracing di Pavanello, che avrebbe potuto contare sulla fornitura dei motori turbo 8 cilindri e sull'assistenza tecnica dell'Autodelta. L'avventura Alfa sotto queste insegne proseguì fino all'85, quando si concluse definitivamente, mentre i motori vennero forniti all'Osella fino al 1987.



Due foto a venti anni di distanza, due leggende della Formula 1
Frank Williams e Ron  Dennis McLaren


Gran Premio del Belgio 1960


 Dopo un’altra edizione saltata (1959), il Circus ritorna in Belgio nel 1960, in quello che verrà ricordato come uno dei Gran Premi più tragici della storia della F1. Già durante le prove, si verificano due incidenti molto gravi, che vedono coinvolte due Lotus 18: Stirling Moss esce di pista poco prima di Burnenville, a causa del distacco di una ruota, andando a sbattere in modo molto violento, finendo catapultato fuori dalla sua vettura e “cavandosela” con le gambe, il naso e tre costole rotte, tornando alle corse dopo un anno; Mike Taylor, invece, esce di pista a 260 km/h, a causa del cedimento del piantone dello sterzo, e viene sbalzato fuori dalla sua Lotus, abbattendo un albero e fratturandosi varie ossa; inizialmente resta paralizzato, ma dopo un lungo periodo di riabilitazione torna a camminare. Quello che succede in gara, quel 19 Giugno 1960, è degno di un film horror. Chris Bistrow, alla guida di una Cooper 51, è in battaglia con il ferrarista belga Willy Mairesse per la 6° posizione; siamo nel corso del 20° giro. L’allora 22enne britannico sbanda, a circa 200 km/h, affrontando la curva Burnenville, finendo contro il terrapieno, alto circa 1 metro, posto all’esterno della curva; purtroppo, Bistrow, nell’impatto, sbalzato dalla macchina, finisce in un campo adiacente, dove c’era del filo spinato, e muore decapitato. 5 giri dopo, è il turno di Alan Stacey, al volante anche lui di una Lotus 18. La dinamica del suo incidente è assurda: in pieno rettilineo di Masta, Stacey viene centrato alla testa da un uccello; la macchina, senza guida, si schianta e per il giovane britannico non c’è nulla da fare. Un giovane Jim Clark, allora 24enne e alla 4° gara in F1, rimane talmente scioccato da questi eventi (in particolare dall’aver visto trascinare via il cadavere senza testa di Bistrow come un manichino e dall’aver trovato macchie di sangue sull’anteriore della sua Lotus) da pensare di farla finita con le corse. Per la cronaca, la gara vede una tripletta della Cooper, con Jack Brabham che precede Bruce McLaren ed il pilota locale Olivier Gendebien.


Gran Premio del Canada 

Il Gran Premio del Canada 2007 è stata la sesta prova del Campionato mondiale di Formula 1. Svoltasi il 10 giugno sul Circuito di Montréal ha visto la prima vittoria in carriera di Lewis Hamilton su McLaren, che, con questo successo, divenne pure leader del mondiale. Alle sue spalle giunsero Nick Heidfeld, Alexander Wurz, Heikki Kovalainen (per la prima volta in carriera a punti), Kimi Räikkönen, Takuma Satō, Fernando Alonso e Ralf Schumacher. La gara fu comunque caratterizzata dal terribile incidente occorso a Robert Kubica, dal quale il pilota polacco è fortunatamente uscito illeso, e dai quattro ingressi in pista della safety car.

Trionfa Hamilton pazzo GP, terrore Kubica


Gara - Alla partenza Alonso esce fuori di pista alla curva 1 e rientra dietro ad Heidfeld; intanto, Button non parte per un problema al cambio. Qualche giro dopo Webber va in testacoda e perde posizioni. Al giro 8 Speed tocca Wurz e si ritira. Mentre Hamilton rientra ai box, Räikkönen supera Alonso. Al giro 21 Sutil sbatte sul muro e si ritira. Al giro 26, alla curva 9, Kubica va a schiantarsi sul muro e si ribalta; una botta molto violenta, ma il pilota non riporta ferite gravi. Entra quindi la safety car e non succede molto fino al giro 51, in cui Massa e Fisichella vengono squalificati per non aver rispettato la chiusura della pit lane. Tre tornate dopo, all'ultima chicane Liuzzi sbatte sul muro quando era in quarta posizione. Negli ultimi giri, dopo aver superato Ralf Schumacher, c'è un duello tra Sato e Alonso che si risolve a favore del giapponese. Non succede nient'altro e Hamilton festeggia la sua prima vittoria in F1 seguito da Heidfeld, Wurz (che risale sul podio per la prima volta dopo il Gran Premio di San Marino 2005), Kovalainen, Räikkönen, Sato, Alonso e Ralf Schumacher. Per la Williams si tratta del primo podio dal Gran Premio d'Europa 2005.




GP DI BERNA, 17/05/1952. A CAUSA DEL BLOCCAGGIO DI UN FRENO
RUDOLF CARACCIOLA  SI SCHIANTA CON LA SUA MERCEDES
 - BENZ
300SL. E' LA FINE DELLA SUA CARRIERA  AGONISTICA.
CARACCIOLA ENTRO' IN COLLISSIONE CON UN ALBERO.


MONTECARLO
1980. Santa Devota pensaci tu. Ci pensa sì, la santa alla quale è dedicata la cappella sulla celebre curva: Derek Daly con la Tyrrell frena in ritardo, intercetta violentemente l’Alfa Romeo di Giacomelli che fa da trampolino, decolla strappando l’alettone alla McLaren di Prost e atterra sull’Alfa Romeo di Jarier. Tutti illesi.



Negli anni '70, l'ingresso in F1 era molto più semplice che oggi. Chiunque (ex piloti, ricchi eccentrici) avesse la disponibilità di un telaio, poteva creare il suo team.
A spingere le auto di questi team "garagisti", il motore Cosworth. Tra coloro che tentarono in F1, in quegli anni, anche l'ex pilota Willibert Kauhsen.
Kauhsen era stato pilota; nel suo palmares risaltava un secondo posto nella 24 h di Le Mans. La prima avventura di Kauhsen come costruttore aveva avuto per contesto la F2. Dopo questa prima esperienza (che aveva fruttato il titolo del 1976), Kauhsen decide il grande salto in f1 nel 1978. Come base, Kauhsen cerca di comprare le giapponesi Kojima, che avevano corso una buona gara nei gp di casa del 1976 e 1977. L'accordo, però, non si trova e così, Kauhsen decide di costruire le proprie monoposto. Come disegnatori furono ingaggiati Klaus Kapitza e Kurt Chabek, rispettivamente di Ford e Porsche. Oltre a tali progettisti, furono chiamati ad assistere il team i professori Carl Cramer, Hans J. Gerhadt ed Eduard Jager dell'Università di Aachen. Da un punto di vista tecnico, si scelse di seguire la strada della Lotus modello 79 a effetto suolo.
Per realizzare tale progetto, il team usufruì della galleria del vento dell'Università di Aachen. Kauhsen cercò di acquisire i motori Alfa, ma la trattativa saltò quando l'Alfa decise di impegnarsi direttamente in F1. Dunque, dovettero ripegare sul Cosworth. Il cambio era un Hewland FGA a cinque marce, differenziale ZF e ammortizzatori KONI.
Il primissimo prototipo realizzato, era una vettura a passo corto e con un alettone posteriore molto avanzato.
Il primo a provare la vettura fu G. Brancatelli, il quale si accorse di alcuni errori di progettazione. Il team di progettisti, infatti, non aveva considerato i problemi connessi alla frenata e all'accelerazione in riferimento all'incidenza sull'effetto suolo

Per realizzare tale progetto, il team usufruì della galleria del vento dell'Università di Aachen.
Kauhsen cercò di acquisire i motori Alfa, ma la trattativa saltò quando l'Alfa decise di impegnarsi direttamente in F1. Dunque, dovettero ripegare sul Cosworth. Il cambio era un Hewland FGA a cinque marce, differenziale ZF e ammortizzatori KONI.
Il primissimo prototipo realizzato, era una vettura a passo corto e con un alettone posteriore molto avanzato.
Il primo a provare la vettura fu G. Brancatelli, il quale si accorse di alcuni errori di progettazione.
Il team di progettisti, infatti, non aveva considerato i problemi connessi alla frenata e all'accelerazione in riferimento all'incidenza sull'effetto suolo. Un altro aspetto che richiedeva una modifica era il serbatoio: troppo piccolo per finire un GP. Dopo una serie di modifiche (tra cui, l'allungamento del passo), si arrivò ad un secondo prototipo. Questa vettura era dotata anche di un serbatoio più grande. Venne assunto Patrick Neve , il quale portò anche uno sponsor. Tuttavia, anche questo secondo prototipo era ben lontano da poter essere usato in un GP: si trattava di una vettura inguidabile e comunque, lentissima. Basti pensare che in un test al Paul Ricard, Neve con la Kauhsen girò a 6 secondi dai migliori.
Altri problemi venivano dal versante "politico", poichè il team non era in grado di pagare la cauzione di 30000 dollari per la partecipazione, la FISA non voleva accettarli. Neve lasciò il team, portandosi dietro gli sponsor, ma arrivò Brancatelli.
Il debutto ufficiale della Kauhsen avvenne a Jarama, nel gp di Spagna del 1979, dopo un pagamento della cauzione dell'ultimo minuto.
In teoria, alla Kauhsen non spettava alcun box ma grazie all'aiuto di Ecclestone (e chi altri?!) la squadra ebbe un suo spazio per lavorare, dividendo la piazzola ai box con la Lotus. Il team, che non disponeva di gomme da qualifica, ottene l'ultimo tempo con il suo unico pilota, Brancatelli.
A Zolder, Brancatelli risultò oltre 13 secondi(!) più lento di Laffitte, che partiva in pole, 9 secondi oltre il tempo di De Angelis, l'ultimo qualificato. Dopo due gare, Kauhsen decise che l'avventura era finita: vendette
tutto all'ex pilota Merzario. Merzario, comunque, pur modificando le vetture non riuscì mai a qualificarsi.



Gran Premio di Monaco 1994


Martin Brundle


Qualifiche - GP Monaco 1994

Nella prima giornata di prove, al giovedì, il più rapido fu Michele Alboreto, che precedette Derek Warwick e Alain Prost. Il pilota della Scuderia Ferrari utilizzò una particolare strategia con gli pneumatici: prima utilizzando tre gomme morbide e una dura (al posteriore sinistro), poi sostituendo solo le gomme di sinistra, e, infine con altre due non utilizzate, invertendo le due gomme consumate. Con questa conformazione ottenne il tempo da primo posto. La gomma posteriore sinistra era la più sollecitata, per questa ragione la Ferrari scelse di utilizzare la mescola più dura, per garantire un maggior numero di giri.

L'altro ferrarista, René Arnoux, rovinò il giro con le tre gomme morbide e la sola dura con un testacoda, trovando poi traffico nel tentativo con 4 gomme morbide. Furono in gravi difficoltà le due Alfa Romeo, mentre più competitiva fu l'Osella, quattordicesima con Piercarlo Ghinzani. Manfred Winkelhock distrusse la sua ATS contro il guardrail. Il tedesco poté proseguire, nonostante una lesione ai legamenti della scapola, grazie all'interessamento del fisioterapista di Lauda.

Al sabato Alain Prost fece sua la pole position, abbassando il tempo dell'anno precedente di due secondi. Il francese entrò in pista a mezz'ora dalla fine delle prove e compì solo i tre giri necessari per far segnare un tempo. Fu la prima pole position per una vettura motorizzata TAG Porsche. La prima fila venne conquistata anche da Nigel Mansell, mentre le due Ferrari vennero relegate in seconda fila (con Arnoux che sopravanzò Alboreto di 2 millesimi), davanti alle dueRenault. L'altro pilota della McLaren, Niki Lauda fu solo ottavo, rallentato da Mauro Baldi nel giro veloce. Alboreto, invece, ruppe la sospensione alla Santa Devota e dovette cercare il tempo col muletto.

Nelle qualifiche del sabato vi fu un brutto incidente per Martin Brundle che finì contro le barriere alla curva del Tabaccaio. Il pilota inglese, tra l'altro contuso, non riuscì a qualificarsi. Gli altri non qualificati furono i due piloti dell'Arrows, i due della RAM, più Eddie Cheever e Mauro Baldi.


Andrea De Cesaris

Il 5 ottobre 2014 se n’è andato in motocicletta, una delle sue passioni assieme alla F.1 e al windsurf. Andrea de Cesaris ha sempre vissuto una vita alla Vasco Rossi, al massimo, per godere appieno tutte le emozioni. Tragico destino il suo, di un ragazzo che amava la velocità, che nella sua carriera ha sfidato la sorte con le F1 degli Anni ‘80, quelle da mille cavalli dure e rudi che ti spaccavano le mani, ed è andato a morire a 55 anni in un banale, maledetto e comune incidente stradale. 

Era uno dei piloti della nazionale italiana di kart: ragazzi che si sarebbero fatti le ossa in automobilismo: Roberto Ravaglia, Corrado Fabi, Felice Rovelli (che vinse quel mondiale e si ritirò dall’attività agonistica) e poi c’era lui: Andrea. Già allora aveva la grinta e l’irriducibilità che lo avrebbe caratterizzato in F1: guidava tutto cuore e aggressività. Finì fuori pista in quel mondiale karting, perché non voleva accontentarsi del quarto posto e con un sorpasso impossibile cercò di salire in posizione da podio. Quella sarebbe stata la sua ultima gara di karting: due mesi dopo era già nella F3 inglese, a nemmeno 19 anni. Sempre appoggiato dalla Marlboro che aveva un rapporto privilegiato con lui, fu l’unico italiano che corse per ben due volte con Ron Dennis che con Andrea condivideva lo sponsor: prima in F2 poi in F.1 con la McLaren nel 1981, al fianco di John Watson.

Ma il carattere irruento di Andrea mal si sposava con l’atteggiamento pacato di Dennis e il legame non funzionò. I suoi tanti incidenti nelle formule minori in Inghilterra gli valsero il soprannome di “De Crasheris”, un po’ come James Hunt che era chiamato “Hunt the shunt” (lo schianto). Solo che Hunt era inglese e quel vizietto di andare sempre al limite e rompere spesso la macchina gli veniva perdonato e faceva un po’ glamour, Andrea invece era italiano e nel panorama anglosassone sempre un po’ ipocrita verso gli stranieri, lo stesso vizietto diventava una macchia per l’immagine agonistica.

Spensierato, divertente, estroso. Sembrava un gladiatore invincibile immune ai rischi di una F1 che all’epoca era ancora maledettamente pericolosa. Eppure una mattina, aspettando un aereo al bar di un aeroporto, mi confessò che mai e poi mai, quando avrebbe avuto un figlio, gli avrebbe permesso di fare il pilota. Troppo pericoloso. Strano detto da lui, che rischiava la vita e sembrava non avesse paura di niente.

Andrea amava la velocità, il brivido, le emozioni. E soprattutto gli piaceva padroneggiare qualsiasi genere di veicolo. A motore o a vela. Voleva migliorare la tecnica in windsurf e non si limitò a praticarlo spesso, no: andò a vivere alle Hawaii surfando con Robby Naish, il più grande campione della storia del surf. E divenne un maestro della tavola a vela.

Uguale con le moto: lo appassionavano, si mise a correre in motocross, tanto che a un Motor Show di Bologna decise di sfidare in gara i migliori crossisti del mondo e i piloti di velocità americani dell’epoca a due ruote. Una pazzia. C’erano gente tipo Bob Hannah, Rick Johnson, Freddie Spencer, Eddie Lawson. E i migliori crossisti italiani e… De Cesaris in mezzo a loro! Come decidere di giocare a calcio contro Messi e il Barcellona in una partita valida per gli europei. Ma Andrea in quella specialità che non era sua ci mise grinta e fisico, e non sfigurò affatto. Era aiutato da un fisico eccezionale e da una determinazione irriducibile. Era il pilota e lo sportivo più eclettico che avessi mai visto. L’importante che come denominatore comune vi fosse la velocità. Su due ruote, quattro o nella planata di una tavola da surf. Aveva una predisposizione naturale per la guida, un piede pesante incredibile e un coraggio (forse temerarietà) da vendere. Avesse fatto il pilota F1 all’epoca di Fangio e Ascari avrebbe vinto tanto, ma forse non sarebbe sopravvissuto a quella F1.

Amava sdrammatizzare situazioni e pericoli. Una volta tornò con la tuta infangata e disse: “Che ho fatto? Me so’ girato!”. Si era cappottato su un terrapieno con la Ligier. Nella sua testa si era girato sì, ma la macchina aveva ruotato sull’asse longitudinale rovesciandosi, non era un semplice testa-coda sull’asse verticale!

Andrea ha corso ininterrottamente in F1 per 15 anni, dal 1980 quando esordì con l’Alfa Romeo F1, fino al 1994, quando chiuse la carriera prima con la Jordan e poi con la Sauber-Mercedes. Ha guidato un po’ di tutto, ma sempre macchine di mezza classifica anche quando erano scuderie prestigiose: dalla Ligier, alla Minardi, alla Rial, alla Brabham, alla Dallara, alla Tyrrell. Finiva nelle squadre “giuste” sempre al momento sbagliato, ma non per sua cattiva scelta. Era un duro, uno tosto, s’era fatto una grande esperienza perché in carriera ha corso 208 gran premi F1, uno dei più longevi di sempre; i team lo sapevano e ricorrevano a De Cesaris e alla sua capacità di portare al limite anche macchine non competitive quando c’era da tirar su una squadra dalle retrovie per mettersi in luce. Un po’ come quegli allenatori alla Carletto Mazzone chiamati a riportare su dalla serie B ex squadre blasonate ma a cui non viene mai affidata una squadra da scudetto.

Lo chiamò Minardi nel 1986 per svezzare l’acerba Minardi con il turbo Motori Moderni di Chiti e Andrea alla prima gara quasi la portò in zona punti prima che il V6 cedesse. Lo volle Ecclestone per far correre la Brabham-Bmw nel 1987 e metterla in luce soltanto allo scopo di trovare un compratore per una squadra allo sbando perché Bernie aveva ben altri interessi, e De Cesaris portò quella macchina – che era la “sogliola” fatale a De Angelis l’anno prima – a un fantastico terzo posto a Spa.

Secondo Gordon Murray, storico ingegnere Brabham, era il pilota che aveva fatto più giri in testa senza vincere un Gp. Ma lo diceva in forma di complimento, non in segno d’irriverenza.

Solo un paio di volte De Cesaris ha avuto davvero in carriera una monoposto per vincere: l’Alfa Romeo 182 nel 1982 e forse la Jordan-Ford del 1991. Quella verde con cui debuttò anche Schumacher. E c’è andato vicinissimo. Con l’Alfa fece la pole a Long Beach 1982, due volte secondo nel 1983. Con la Jordan fu sfortunato ma avrebbe probabilmente vinto proprio il Gp del Belgio 1991 a Spa – quello dell’esordio di Schumacher – se il suo V8 Ford non si fosse rotto nel finale di gara quando era secondo in rimonta. Pensate alle sliding doors della F1: se con la stessa Jordan con cui debuttò Schumi quel giorno in F1 Andrea fosse finito a podio, la prestazione del giovane Michael all’esordio che tanto colpì gli esperti di F1 si sarebbe ridimensionata al paragone col risultato del compagno di squadra. Invece il destino ha voluto diversamente e ancora una volta Andrea rimase con le pive nel sacco.

Ma noi ricorderemo sempre Andrea come un vero racer, come dicono gli inglesi, un corridore, uno dal piede pesante come nessun altro. Uno che il piede destro dal gas non lo toglieva mai fino all’ultimo. In fondo detiene ancora il platonico record di esser stato il primo a osare e riuscire a fare in pieno il terribile curvone di Signes al Castellet con una F1.

E' scomparso il 5 ottobre del 2014 a causa di un incidente motociclistico nella sua città Natale: 
al funerale hanno partecipato numerosi protagonisti della sua carriera in Formula 1, tra cui Niki Lauda,
che ne ha ricordato con commozione le grandissime doti.


Romain Grosjean

Il 29 novembre 2020, nel corso del primo giro del Gran Premio del Bahrein il pilota è protagonista di un violento incidente: in seguito a un contatto con il pilota dell’AlphaTauriDaniil Kvjat, la sua Haas colpisce un guardrail ad alta velocità, spezzandosi in due e prendendo immediatamente fuoco. Il troncone con la cellula di sicurezza dell'abitacolo rimane incastrato nella barriera metallica, avvolto dalle fiamme. Grosjean riesce comunque ad uscire dalla monoposto sulle proprie gambe, venendo immediatamente soccorso dall'equipaggio della medical car. Successivamente il pilota, che non ha mai perso conoscenza, viene trasferito in ospedale per ulteriori esami che accertano la presenza di alcune ustioni agli arti che gli impediranno la partecipazione ai due Gran Premi successivi (in occasione dei quali viene sostituito da Pietro Fittipaldi, terzo pilota). Conclude così prematuramente la sua ultima stagione in Formula 1, conquistando 2 punti e classificandosi al diciannovesimo posto in classifica generale.



Circuito stradale del Mugello - per dare prestigio e spazio, per ovvi motivi politici, alla "Coppa Ciano" la corsa toscana venne interrotta nel '28 e riprese solo nel '55 su un circuito ridotto che si sviluppava solo intorno al paese di Barberino con solo un breve tratto in comune al circuito originale di 66 Km che sarebbe tornato
a disputarsi solo dal '64 al '70.
Circuito nella Storia
Il circuito stradale aveva molte affinità con il "piccolo Madonie", ovvero con quello classico  della "Targa Florio" del dopoguerra
ed ebbe diverse, lievi, varianti negli anni.
1955 - Vittoria assoluta di Umberto Maglioli
  su Ferrari 750 Monza - 3000 cc. - 250 CV
Il Mugello, alle pendici dell’Appennino Tosco-Emiliano, è una zona della Toscana ancora poco turistica e ricca di un fascino ancora intatto. Tra fitti boschi, laghi e fiumi, passi montuosi di aspra bellezza, spuntano antiche ville appartenute ai Medici e borghi incantevoli immersi nella natura.
Tra questi, da segnalare certamente Barberino, Vicchio (dove visse il pittore Cimabue)
 e Firenzuola. Per quanto riguarda le ville medicee, la più celebre è senz’altro la villa di Cafaggiolo.


Piers Raymond Courage (Colchester, 27 maggio 1942 – Zandvoort, 21 giugno 1970) è stato un pilota di Formula 1 inglese, deceduto sul circuito di Zandvoort durante il Gran Premio d'Olanda 1970.

Figlio di uno dei maggiori industriali inglesi della birra (la Courage), studiò a Eton, nel più famoso ed esclusivo dei collegi, dove apprese le prime nozioni di meccanica.

Durante il GP d'Olanda ottenne un buon nono posto in prova, ma durante la gara, al 23º giro, prese una curva a velocità eccessiva, la vettura uscì di strada, urtò un terrapieno e nell'impatto si incendiò sviluppando delle fiamme così intense da costringere i commissari di percorso a sotterrare la vettura con all'interno il pilota per poter spegnere l'incendio. Con la morte di Piers Courage, l'evoluzione della De Tomaso si interrupp



A metà degli anni '60, in Nord America nasceva una delle categorie di maggior successo del periodo: la Can-Am, acronimo di "Canadian American Challenge Cup". Una delle caratteristiche che rendeva questa serie particolarmente interessante da un punto di vista tecnico è la quasi totale libertà nei regolamenti tecnici, che consentiva ai costruttori di inventare qualsiasi soluzione, a patto di rispettare le sole regole delle ruote coperte e un cockpit con due sedili e due aperture. Oltre a queste, giusto qualche regola di sicurezza. La serie, grazie ai ricchi premi in palio, riusciva a richiamare piloti da tutto il mondo, così anche piloti di f1 e costruttori o team che lavoravano in f1 si interessarono alla serie. Il Can-Am, raccoglieva molti spettatori e divenne una delle serie di maggior popolarità in quel periodo.
Il team che più di ogni altro ha legato il suo nome al Can-Am è la McLaren, la quale con Bruce McLaren e Denny Hulme ("the Bruce and Danny Show"), prima e Peter Revson poi, scrisse tra le pagine più importanti della storia della categoria. La prima edizione del Can-Am si corse nel 1966, prima gara a Mosport, in Canada. La seconda edizione, del 1967, fu dominata dal team McLaren, un dominio che si spinse sino al 1972, anno in cui la Porsche divenne il team punto di riferimento nella serie.
Come dicevamo, l'aspetto più interessante del Can-Am è la libertà progettuale pressochè assoluta. Fu in questo ambito che nacque un'idea interessante, ripresa poi anche in f1. La Chaparral 2J: dotata di due motori, uno, un Chevrolet, che svolgeva un compito "tradizionale" e poi un secondo che svolgeva lo strano compito di dare moto a due ventole che aspiravano l'aria sotto la vettura. Questa vettura, non ebbe molto successo nella serie, ma ispirò Gordon Murray che riprese l'idea per la f1, con la versione B della bt-46, del 1978, anche questa un'auto non molto fortunata, non perchè non fosse veloce (anzi) ma fu rapidamente messa fuori legge.
Il principio della Chaparral 2J era semplice: le ventole, aspirando aria, creavano deportanza incollando la vettura all'asfalto.
Anche gli alettoni furono introdotti nel mondo delle corse proprio nella serie Can-Am.
L'interesse per la serie era alto per le case europee: Ferrari tentò l'avventura ma senza riscontri degni di nota; la Porsche, invece, raccolse il testimone dalla McLaren come team di riferimento.
La partecipazione della Porsche al Can-Am risale al 1969 ma fu nel 1972 che avvenne il salto di qualità. La Porsche affidò la preparazione della vettura a Penske e la 917/10k portò al successo in campionato Follmer (dopo l'incidente a Donohue, che stava dominando il campionato, sempre con la Porsche).
Sempre nel 1972, la Porsche presentò la 917/30 che si rivelò una vettura assolutamente dominante, una vettura potentissima, la più potente vettura da competizione mai realizzata.
Oltre alla Porsche, alla McLaren, alla Chapparal, alla serie Can-Am si lega il nome della Lola, che vinse il primo campionato della serie con Surtees.
Gli elevati budget richiesti portarono alla fine della serie nel 1974. Si tentò di reintrodurre la serie nel 1977 ma senza grande successo.

Il successo della serie Can-Am fu dovuto da un mix di cose: grandi piloti, auto potenti e interessanti sul piano tecnico, circuiti affascinanti e famosi, come Laguna Seca o Mosport


29 LUGLIO 1973.

 ROGER WILLIAMSON, IL GIORNO DELLA VERGOGNA DELLA F.1


Williamson vinse nel 1971 e 1972 il campionato britannico di Formula 3 prima di esordire
 in F1 nella stagione 1973 con la March



LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~


Durante la corsa, un improvviso sgonfiamento ad uno pneumatico spinse Williamson contro le barriere ad alta velocità
 
catapultando la vettura per quasi trecento metri sulla barriera stessa. La macchina di Williamson si rovesciò
e prese fuoco con il conducente incapace di districarsi.


Tristemente, con questa vettura ebbe appena il tempo di completare una gara: alla sua seconda apparizione, sul circuito di Zandvoort
durante il Gran Premio d’Olanda (un evento atteso dopo un’assenza di un anno a causa della messa in sicurezza dell’autodromo
con asfalto nuovo, l’installazione di barriere e la costruzione di una torre di controllo), trovò la morte in uno
degli incidenti più tragici della storia della  Formula uno.





David Purley chiede inutilmente aiuto


La statua di Roger a Donington
Roger Williamson, il pilota inglese vittima certo della pericolosità delle corse ma anche e soprattutto, quella domenica del Gp di Olanda 1973 sulla pista di Zandvoort, della codardia di quanti non fecero nulla per tentare di salvarlo. Tranne David Purley. La dinamica dell’incidente è nota, ripresa e irradiata in diretta dalla televisione in tutta la sua raccapricciante evoluzione. La March di Williamson, alla sua seconda gara in F.1 (al precedente GP d’Inghilterra era incappato senza conseguenze nella carambola di 11 vetture dovuta all’errore di Scheckter in pieno rettilineo), esce fuori pista a causa dell’afflosciamento di uno pneumatico. Dopo l’impatto, la macchina si rovescia e striscia per centinaia di metri prendendo fuoco. Purtroppo, arrestatasi affianco ad un terrapieno, resta ribaltata mentre le fiamme cominciano a divampare più violentemente. Si accorge di tutto il compagno di marca (ma non di team) David Purley che non ci pensa due volte: “parcheggia” la sua March Lec e corre in suo aiuto. Prova a rimettere sulle quattro ruote la monoposto ma nessuno lo aiuta.
I commissari si limitano ad osservare, impauriti dal globo di fuoco che ormai avvolge la monoposto. Allora Purley si procura un estintore, ma la sua azione è insufficiente. Chiede disperatamente una mano senza ottenere nulla ma, anzi, viene invitato ad allontanarsi. Si ribella, davanti a tanta disumana ritrosia. Vorrebbero intervenire degli spettatori ma vengono respinti con i cani. Purley riprova a raddrizzare quella maledetta macchina. “Lo sentivo gridare, chiedere aiuto, ma non riuscivo a farcela”, dirà poi. Alla fine, lacrime agli occhi, dovrà desistere anche lui, impotente davanti ad un ammasso incandescente dentro al quale muore asfissiato Roger Williamson. Il mezzo antincendio, arriverà solo a distanza di minuti. Tutto questo è avvenuto senza che la corsa sia stata interrotta, senza che nessun’altro pilota abbia minimamente pensato di imitare Purley (alcuni, con tanto di bandiera gialla, alla curva dell’incidente tentavano ancora sorpassi), senza che gli altri “colleghi” si rendessero conto di aizzare le fiamme al loro passaggio.
Per la cronaca, quella gara fu vinta da Stewart davanti a Cevert e Hunt. Roger Williamson era un fulgido talento, nato il 2 febbraio 1948 (aveva quindi 25 anni) a Leicester. Si svezzò sui kart e poi in gare club su Ford Anglia, nel 1971 era già campione del campionato inglese di F.3 (13 vittorie), poi subito in F.2, la bellissima vittoria al “lotteria” di Monza e finalmente l’agognata F.1.La sua carriera fu favorita da un mentore che credeva ciecamente in lui: Tom Weathcroft, proprietario della pista di Donington Park. “Il giorno più triste della mia vita”, disse poi di quella tragica domenica. In occasione del trentennale della scomparsa, nel 2003, fece erigere all’interno dell’autodromo una statua che raffigura lo sfortunato amico pilota e che, almeno, ne conserva o propaga il ricordo a tutti gli appassionati.

Williamson resta intrappolato e muore asfissiato
Il triste epilogo

Le sfide (quasi) impossibili: aerei contro macchine, da Nuvolari a Schumacher


Roma_-_Pista_del_Littorio_-_8_dicembre_1931_-_Nuvolari_con_l_Alfa_8C.2300
Non ci sono segreti, l’ha sempre sostenuto Bill Vukovich: “Semplicemente, si spinge a fondo l’acceleratore”. A prescindere da quello che guidi. Per dire: 8 dicembre 1931, si sfidano in accelerazione l’Alfa Romeo 8C 2300 di Tazio Nuvolari e il biplano Caproni CA-100
di Vittorio Suster al Littorio di Roma.

C’è un circuito, bisogna fare cinque giri, 17 chilometri in totale. L’aereo deve seguire in volo l’andamento della pista. Le cronache non sono proprio precisissime. Comunque vince l’aereo, ci mette 6 minuti e 12, batte di qualche metro la macchina.




Gilles Villeneuve, l’Aviatore della Formula 1


Gilles Villeneuve e quel modo di correre aggressivo, tutto pericolo e spettacolo.
Il pilota canadese, nato a Saint-Jean-sur-Richelieu il 18 gennaio 1950, è stato uno degli sportivi più amati dal pubblico della Formula Uno. Nonostante non abbia mai vinto un titolo Mondiale, è ricordato come un’icona per il suo modo arrembante di correre in pista. Morì a bordo della Ferrari 126 C2 in uno schianto a 227 km/h causato da un contatto con la March di Jochen Mass durante le qualifiche per il Gran Premio del Belgio. Era l’8 maggio 1982.


La sfida si rinnova cinquant’anni dopo: 22 novembre 1981, aeroporto di Istrana ni pressi di Trieste, stavolta a terra c’è Gilles Villeneuve sulla Ferrari 126 CK senza ali. Lo sfidante è un F-104 dell’Aeronautica Militare in diverse configurazioni, quella più pesante con quattro serbatoi supplementari, pesa oltre dieci tonnellate, quella media con due serbatoi alari e quella leggera in configurazione pulita, comunque otto tonnellate.
Si parte da fermi e si coprono mille metri. Vince Villeneuve. E forse non è un caso che lo chiamassero l’aviatore. 
Fa 17.80, batte di un decimo l’aereo in configurazione più scarica.




Gran Premio di Spagna 1990

Il Gran Premio di Spagna 1990 è stato un Gran Premio di Formula 1 disputato il 30 settembre 1990 al Circuito di Jerez.
 La gara è stata vinta da Alain Prost su Ferrari.
Durante le qualifiche del venerdì, a Jerez, Martin Donnelly fu vittima di un grave incidente: il pilota nordirlandese finì con una ruota sul cordolo nella curva detta "Ferrari"; la sua Team Lotus, lanciata in 6ª a 240 km/h, finì contro un guardrail andando in pezzi. Il pilota riportò fratture a gambe e clavicole, rimanendo in prognosi riservata. Seppur scampato alla morte, Donnelly (che nelle qualifiche aveva ottenuto il quattordicesimo tempo) dovette - in seguito - abbandonare le corse, poco più che venticinquenne.



AUTODROMO SANTA MONICA - MISANO ADRIATICO
Il Misano World Circuit è ubicato nel piccolo centro di Santamonica, frazione della vicina Misano Adriatico.
Questo paesino deve il suo nome agli alleati americani che, durante la seconda guerra mondiale, vi insediarono una loro base militare denominandola probabilmente come la famosa città americana. Nel 1972, durante la costruzione del celeberrimo autodromo, furono rinvenute importanti capanne del Neolitico medio-superiore che oggi sono conservate nel Museo del territorio di Riccione.


Clay Regazzoni.

Gian Claudio Regazzoni, detto Clay, nato a Lugano in Svizzera il 5/9/1939, e' stato sicuramente il campione Ferrari piu' amato dai tifosi nei primi anni settanta per la sua generosita' e quella carica di immediata simpatia che emanava. Dopo aver frequentato le scuole e lavorato nella carrozzeria del padre, nel 1963 inizia a correre con una Austin Sprite e poi con una Morris Cooper. Nel 1965 fa esperienza in F3 con una scuderia di Lugano, per poi firmare un contratto con la Tecno l’anno successivo (disputando anche qualche gara in F2). Nel 1967 partecipa alla Temporada Argentina e coglie il suo primo successo in F3 a Jarama. Pilota ufficiale della Tecno nel 1968, vince a Vallelunga, partecipa con continuita' e discreti risultati alle gare di F2 e alla fine di quell’anno firma un contratto per correre in F2 con la Ferrari, ma gli scarsi risultati lo fanno tornare alla Tecno. Nel 1970 Clay si rifa' vincendo il campionato europeo di F2. 

Regazzoni e' lanciato in Formula 1 all’eta' di 31 anni nel corso della stagione 1970 da Enzo Ferrari che lo ha apprezzato nelle formule minori. Clay e' al volante di una rossa dal GP d’Olanda, dove debutta e stupisce tutti con il 6° posto in griglia e il 4° in gara, risultato ripetuto nel seguente GP di Gran Bretagna. La sua prima vittoria arriva gia' nello storico GP d’Italia, sua quinta gara in F1. Il ticinese sa interpretare meglio di tutti il gioco delle scie sull’impegnativo tracciato di Monza e va a vincere la gara, davanti a campioni del calibro di Stewart e Hulme. Il bilancio del campionato 1970, assegnato postumo a Jochen Rindt (morto proprio a Monza nel corso delle prove del sabato), e' di una vittoria, 3 podi, una pole e il terzo posto nel mondiale, a soli 7 punti dal suo compagno di squadra Jackie Ickx, secondo in classifica, avendo disputato solo 8 gare sulle 13 in calendario.

Regazzoni e' lanciato in Formula 1 all’eta' di 31 anni nel corso della stagione 1970 da Enzo Ferrari che lo ha apprezzato nelle formule minori. Clay e' al volante di una rossa dal GP d’Olanda, dove debutta e stupisce tutti con il 6° posto in griglia e il 4° in gara, risultato ripetuto nel seguente GP di Gran Bretagna. La sua prima vittoria arriva gia' nello storico GP d’Italia, sua quinta gara in F1. Il ticinese sa interpretare meglio di tutti il gioco delle scie sull’impegnativo tracciato di Monza e va a vincere la gara, davanti a campioni del calibro di Stewart e Hulme. Il bilancio del campionato 1970, assegnato postumo a Jochen Rindt (morto proprio a Monza nel corso delle prove del sabato), e' di una vittoria, 3 podi, una pole e il terzo posto nel mondiale, a soli 7 punti dal suo compagno di squadra Jackie Ickx, secondo in classifica, avendo disputato solo 8 gare sulle 13 in calendario.
Chissa' cosa avrebbe potuto fare con una partecipazione completa al campionato… La stagione 1971 vede risultati invece sensibilmente diversi. La nuova 312 B2 non e' all’altezza delle aspettative né degli avversari, e i risultati non sono quelli sperati. Clay sale sul terzo gradino del podio solo 3 volte, ma nella classifica finale e' comunque davanti al compagno di squadra (e futuro campione del mondo 1978) Mario Andretti.
Regazzoni vince inoltre con i prototipi la 9 ore di Kyalami. La stagione 1972 ricalca le medesime deludenti orme dell’anno precedente, e soltanto un 2° e un 3° posto danno qualche soddisfazione a Clay (anche se i prototipi gli regalano un’altra vittoria alla 9 ore di Kyalami e il successo nella 1000 km di Monza). Al termine dell’anno la Ferrari non gli rinnova il contratto, lo svizzero passa alla BRM, squadra giunta alla frutta ma con cui ottiene ugualmente una pole in Argentina, ma e' destinato a tornare alla rossa dal 1974.
La stagione 1974 inizia bene per Clay, con vari podi. Il campionato e' equilibrato, e i punti equamente divisi tra la coppia Ferrari Regazzoni-Lauda e Fittipaldi sulla McLaren. Nel Gran Premio di Monaco, pero', il “Rega” getta definitivamente al vento la possibilita' di porre una seria ipoteca sulla conquista del Mondiale. Pressato da vicino dal compagno Lauda quando era in testa, incappa in un banale testacoda, che lo relega al quarto posto. Una giornata disastrosa per Clay, che per l’unica volta nella sua carriera esagera con l’istintivita' e compromette la scalata a quel titolo che aveva sempre inseguito.

La vittoria in Germania sembra rilanciare le speranze di vittoria finale per lo svizzero ma, dopo il successo tedesco, la lotta tra i due piloti della Scuderia non viene disciplinata al meglio dai box: nonostante Clay fosse in testa non gli venne assegnato un vero e proprio ruolo di prima guida, che senza dubbio meritava anche per il suo lungo passato in rosso.La mancanza di affidabilita' nelle ultime gare esclude definitivamente Regazzoni dalla battaglia per il titolo, e Fittipaldi ne approfitta per laurearsi campione all’ultima gara. L’anno successivo Lauda e' irresistibile, e Regazzoni si deve accontentare di fare la seconda guida, anche se la sua vittoria a Monza contribuisce sensibilmente alla conquista del titolo costruttori. Nel 1976 la Ferrari ha ancora la monoposto migliore del lotto: lo confermano i due successi in apertura di campionato in Brasile e Sud Africa, mentre Clay si impone a Long Beach. Niki Lauda mette pero' in discussione la vittoria dello svizzero nel GP degli USA Ovest: secondo lui il nuovo responsabile della gestione sportiva Audetto avrebbe favorito lo svizzero indicando a Lauda di non attaccarlo. I rapporti di Regazzoni con la Ferrari iniziano a peggiorare, finché il gravissimo incidente al Nurburgring in cui Lauda rischia la vita crea uno sconvolgimento notevole a Maranello: in particolare Ferrari non perdona a Clay di aver disertato il GP d’Austria per un suo incidente durante una partita a tennis. La Ferrari conquista ugualmente il titolo costruttori, ma nel 1977 si conclude il capitolo Ferrari per Regazzoni, che viene sostituito da Reutemann, gia' ingaggiato l’anno precedente per sostituire l’infortunato Lauda. Le annate successive sono anonime: il 1977 alla Ensign, il ’78 alla Shadow, con povero bottino di 9 punti e soli piazzamenti nelle due stagioni.

Nel 1979 Regazzoni e' ingaggiato da Frank Williams, che puo' contare su ingenti finanziamenti dall’Arabia. Regazzoni dovrebbe fare il secondo di Alan Jones, ma lo svizzero che rompe invece le uova nel paniere portando il 14 luglio a Silverstone la prima vittoria della storia, salutato anche dalla Ferrari, ad una Williams dall’entusiasmo moderato per l’insuccesso personale del suo alfiere Jones. Dopo l’ulteriore podio sul terzo gradino a Monza, Clay, destinato ad essere sostituito in Williams ancora una volta da Reutemann, e' ad un passo dal contratto con la competitiva Brabham per il 1980, ma gli accordi saltano all’ultimo momento e Regazzoni deve accontentarsi della Ensign. È proprio con la Ensign che Regazzoni corre l’ultima gara della sua carriera: il 30 marzo a Long Beach, nonostante l’inferiorita' del mezzo, e' al quinto posto e in piena lotta quando, al 50° giro, Clay cerca in staccata i freni, ma non li trova; si appoggia cosi' al muretto per tentare di frenare la vettura, ma contro il muro e' posteggiata la Brabham di Zuniño. Lo scontro e' inevitabile e Clay, gravemente infortunato alla spina dorsale, rimane paraplegico e non recuperera' mai l’uso degli arti inferiori. Clay e' comunque un tipo che non si arrende: perseguisce impegni sociali per la difesa dei diritti dei disabili, scrive libri e diventa commentatore televisivo. La sua passione per le corse non si era ancora spenta: con vetture a comandi al volante ha corso ancora in pista e su sterrato: Raid Panama-Alaska, Carrera Panamericana storica.
Muore in un incidente stradale il 15 dicembre 2006.


Gran Premio di Russia 2018

Il Gran Premio di Russia 2018 è stata la sedicesima prova della stagione 2018 del campionato mondiale di Formula 1. La gara, corsa domenica 30 settembre sul circuito di Soči, è stata vinta dal britannico Lewis Hamilton su Mercedes, al settantesimo successo nel mondiale; Hamilton ha preceduto all'arrivo il suo compagno di team, il finlandese Valtteri Bottas e il tedesco Sebastian Vettel su Ferrari.

Per questo gran premio la Pirelli offre la scelta tra gomme di mescola soft, ultrasoft e hypersoft.

Sono due le zone indicate dalla Federazione Internazionale dell'Automobile ove i piloti possono usare il Drag Reduction System: la prima zona è posta tra la curva 1 e la curva 2, con punto per la determinazione del distacco fra piloti posto dopo la curva 18, mentre la seconda zona è stabilita tra le curve 10 e 13, con detection point fissato prima della curva 10.La prima zona è allungata di 95 metri, rispetto alla configurazione usata fino al 2017.

La Red Bull Racing decide di utilizzare la vecchia versione del motore Renault (anche se marchiato TAG Heuer), già in uso prima della gara di Monza. I piloti della scuderia subiranno così delle penalizzazioni sulla griglia di partenza

La Honda porta una nuova specifica di power unit per la Scuderia Toro Rosso, coi piloti che subiranno la stessa sorte di quelli della Red Bull.

La McLaren sostituisce vari elementi sulla power unit di Fernando Alonso, che sarà perciò penalizzato sulla griglia di partenza.

Un incendio scoppiato nella notte tra venerdì e sabato, all'interno del box della Haas, distrugge due set di gomme allocate per Kevin Magnussen. Il team ha chiesto due set nuovi alla Pirelli.



Sfida alla Ferrari, vince l'aereo
Nella base di Grosseto finisce 2-1 per l'Eurofighter di Cheli il confronto con la F2003-GA di Schumacher.
Michael: "Che esperienza!".

     M. Schumacher - M-Cheli
Schumacher Ferrari F1 2300 GA - EuroFighter 2000 Typhoon
GROSSETO, 11 dicembre 2003 - Alla fine ha vinto l'aereo, come da pronostico. L'Eurofighter Typhoon, pilotato dall'astronauta
Maurizio Cheli, si è aggiudicato la sfida con la Ferrari F2003-GA di Michael Schumacher andata in scena sulla pista dell'aeroporto militare di Grosseto. Il tedesco ha fatto suo il primo confronto di accelerazione sui 600 metri, mentre il suo avversario si è imposto sulle distanze dei 1.200 e 900 metri. Sono state parecchie le sfide che, in passato, hanno messo di fronte vetture automobilistiche e velivoli. Le più famose sono quelle che hanno visto opposte l'Alfa Romeo 8C 2300 di Tazio Nuvolari contro il Biplano Caproni, nel 1931 a Roma, e la Ferrari 126 di Gilles Villeneuve e l'F104 Starfighter a Istrana (vinta dal pilota canadese sulla distanza di un chilometro).




1988 -  Visita di Papa Giovanni II a Maranello 




Gran Premio del Belgio 1939

Nel 1939, dopo un ritiro nella corsa dell'Eifel, Seaman disputò il Gran Premio del Belgio sul circuito di Spa-Francorchamps, durante il quale andò in testa, ma una sbandata nei pressi della Source sul fondo bagnato innescò un incidente nel quale riportò ustioni che gli furono fatali nella notte successiva. Morì il 25 giugno 1939. Richard Seaman era sposato con Erika Popp, figlia del Presidente della BMW, Franz Josef Popp.




Michele Alboreto

Michele Alboreto debutta in Formula 1, nel 1981 a San Marino al volante della Tyrrell-Ford. Gli sono sufficienti due anni per mostrare agli addetti ai lavori le qualità che lo renderanno, qualche anno dopo, uno dei più maturi candidati al titolo iridato. Il matrimonio tra Alboreto e la scuderia britannica porta a due vittorie, le ultime della gloriosa Tyrrell, entrambe negli Stati Uniti, e ad un settimo e un dodicesimo posto in classifica generale.  Il suo stile di guida, veloce e grintoso, piace molto a Enzo Ferrari che, per lui, fa cadere il veto sui piloti italiani e lo ingaggia nel 1984.

L'anno dopo è già in lotta per il titolo che, solo sconsiderate scelte tecniche della Ferrari, glielo fanno perdere. Alboreto rimarrà l' ultimo pilota italiano ad essere stato scelto personalmente da Enzo Ferrari, il quale morirà nello stesso anno in cui si interromperà l' idillio tra la scuderia di Maranello ed Alboreto, il 1988. Comunque, dopo una prima promettente stagione chiusa al quarto posto in classifica generale, Michele apre un 1985 nel modo in cui, a Maranello, tutti si auguravano: dopo il Nuerburgring, nona prova del campionato mondiale, Alboreto è primo in classifica iridata in virtù delle vittorie in Canada e Germania e dei numerosi piazzamenti a punti ma, sulla distanza, emerge la maggior esperienza dell' inseguitore Alain Prost in più, lo stop dello sviluppo da parte dei tecnici Ferrari, il quale ribalta la situazione e il francese della McLaren, vince il suo primo titolo mondiale.

L'anno dopo è già in lotta per il titolo che, solo sconsiderate scelte tecniche della Ferrari, glielo fanno perdere. Alboreto rimarrà l' ultimo pilota italiano ad essere stato scelto personalmente da Enzo Ferrari, il quale morirà nello stesso anno in cui si interromperà l' idillio tra la scuderia di Maranello ed Alboreto, il 1988. Comunque, dopo una prima promettente stagione chiusa al quarto posto in classifica generale, Michele apre un 1985 nel modo in cui, a Maranello, tutti si auguravano: dopo il Nuerburgring, nona prova del campionato mondiale, Alboreto è primo in classifica iridata in virtù delle vittorie in Canada e Germania e dei numerosi piazzamenti a punti ma, sulla distanza, emerge la maggior esperienza dell' inseguitore Alain Prost in più, lo stop dello sviluppo da parte dei tecnici Ferrari, il quale ribalta la situazione e il francese della McLaren, vince il suo primo titolo mondiale. La delusione in casa Ferrari è tanta e ancora più grande è l' amarezza di Alboreto: egli non riuscirà più, negli anni seguenti, a rinverdire i fasti di quella stagione e si troverà sempre a gareggiare per la conquista di una posizione secondaria. I risultati parlano di un 8°, di un 7° e di un 5° posto nelle successive tre annate al volante della "Rossa" e a fine 1988, nonostante sia già dato per scontato l' arrivo di Nigel Mansell a Maranello, Enzo Ferrari convoca per l' ultima volta il pilota milanese al fine di chiedergli le sue intenzioni: Alboreto ritiene che andarsene sia la scelta migliore e così viene messa la parola fine ad un matrimonio durato cinque anni. Michele chiuderà la sua carriera passando, nell' arco di tre stagioni, dalla Tyrrell alla Lola, dalla Footwork alla Minardi, restando però sempre a lottare nelle retrovie. Dopo la F.1, si dedica alle vetture sport, vince la 24 ore di Le Mans nel 1997 su una Porsche in coppia con Johansson, già suo compagno alla Ferrari. Nonostante i 44 anni e un conto in banca notevole, la febbre per le corse non l'abbandona e inizia il 2001 con la scuderia AUDI che corre nella categoria sport. L'obbiettivo è, rivincere la mitica 24 Ore di Le Mans. Proprio durante le prove in vista di questa gara, Alboreto perde la vita sul circuito di Dresda.

La delusione in casa Ferrari è tanta e ancora più grande è l' amarezza di Alboreto: egli non riuscirà più, negli anni seguenti, a rinverdire i fasti di quella stagione e si troverà sempre a gareggiare per la conquista di una posizione secondaria. I risultati parlano di un 8°, di un 7° e di un 5° posto nelle successive tre annate al volante della "Rossa" e a fine 1988, nonostante sia già dato per scontato l' arrivo di Nigel Mansell a Maranello, Enzo Ferrari convoca per l' ultima volta il pilota milanese al fine di chiedergli le sue intenzioni: Alboreto ritiene che andarsene sia la scelta migliore e così viene messa la parola fine ad un matrimonio durato cinque anni. Michele chiuderà la sua carriera passando, nell' arco di tre stagioni, dalla Tyrrell alla Lola, dalla Footwork alla Minardi, restando però sempre a lottare nelle retrovie. Dopo la F.1, si dedica alle vetture sport, vince la 24 ore di Le Mans nel 1997 su una Porsche in coppia con Johansson, già suo compagno alla Ferrari.  

Nonostante i 44 anni e un conto in banca notevole, la febbre per le corse non l'abbandona e inizia il 2001 con la scuderia AUDI che corre nella categoria sport. L'obbiettivo è, rivincere la mitica 24 Ore di Le Mans. Proprio durante le prove in vista di questa gara, Alboreto perde la vita sul circuito di Dresda. Era il 25 aprile 2001. Con lui se ne và non solo un grande uomo, sempre disponibile e molto acuto nei suoi commenti sul mondo dell'automobilismo, ma anche un grande pilota, purtroppo poco apprezzato in patria, che fece parte dell'ultima generazione di grandi piloti italiani, insiema a Elio de Angelis e a Riccardo Patrese. A tutti i suoi tifosi, comunque, resterà negli occhi e nel cuore quella stupenda vittoria in Germania, che permise di coltivare il sogno di un titolo, e la cocente delusione che derivò dal vederlo svanire. Voglio infine ricordare che è stato l'unico pilota italiano, dopo Ascari, a lottare per il titolo mondiale.




Il 10 marzo 1971, al salone dell'auto di Ginevra, Nina Rindt e la piccola Natascia, figlia di Jochen, ritirano il "Casco d'oro" della rivista Autosprint.
Natascia volle subito solo per sè il riconoscimento vinto dal papà.


La nuova Lotus 72 a cuneo era una macchina molto innovatrice, caratterizzata dalla flessibilità delle sospensioni, barra del fascio di torsione, radiatori montati, freni anteriori interni e l’ala posteriore sporgente. I problemi originari della 72 erano dovuti alle sospensioni, ma una volta risolti la vettura dimostrò la sua superiorità e la nuova prima guida della Lotus, l’austriaco Jochen Rindt, dominò il campionato prima di morire a Monza a causa dell’improvvisa rottura dell’albero del freno prima di affrontare la Parabolica durante la sessione di qualifiche.

 Fu l’unico a conquistare il titolo postumo per la Lotus.


Tyrrell

L'ultimo titolo iridato targato Tyrrell fu quello del 1973, anno in cui Jackie Stewart conquistò per la terza volta il campionato del mondo dopo i successi ottenuti nel '71 e nel '69. Lo scozzese e la scuderia di Ockham in quegli anni offuscarono marchi ben più blasonati, rappresentando di fatto il binomio col quale dovevano fare i conti tutti quelli che nutrivano ambizioni iridate. Ancora una volta, la storia delle corse aveva messo in scena un duo formidabile, come era accaduto in passato con il sodalizio Clark-Lotus che solo la disgrazia di Hockenehim aveva tragicamente interrotto nel '68. Anche quel '73 della Tyrrell comunque fu caratterizzato da una tragedia: nell'ultima gara in programma a Watkins Glen, infatti, Francois Cévert, destinato a rilevare il posto di caposquadra lasciato libero da Jackie Stewart, subì un incidente mortale in prova, azzerando di fatto il team campione del mondo. Da quel momento, la scuderia inglese non riuscirà mai più a ripetere gli antichi fasti, avviandosi lentamente, fra alti e bassi, ad una penombra che la relegò ai livelli medio-bassi del circus. Dal 1999 la Tyrrell non esiste più, è stata rilevata da Craig Pollock che l'ha ribattezzata BAR.

I magici anni 60

La storia della Tyrrell nasce nella seconda metà degli anni Sessanta, quando Ken Tyrrell, ex commerciante di legname (da cui il soprannome di "boscaiolo"), allestisce una scuderia. Alla sua corte arriva Jackie Stewart e inizia così una collaborazione che darà ad entrambi le più grandi soddisfazioni. Inizialmente, Tyrrell scende in campo con monoposto di altri costruttori, mentre la motorizzazione è assicurata da quel Cosworth che all'epoca equipaggia la maggior parte delle F.1. Nel '68, la squadra si presenta ai nastri di partenza iridati con le Matra-Cosworth affidate a Jackie Stewart e Johnny Servoz-Gavin, e lotta per il titolo fino all'ultima gara, anche se il campionato sarà poi conquistato da Graham Hill e dalla sua Lotus. Il titolo non le sfuggirà invece nella stagione successiva: Jackie Stewart diventa campione del mondo utilizzando sempre l'accoppiata Matra-Cosworth. La battuta d'arresto del '70 coincide con il passaggio dalla Matra alla neonata March, in attesa che Derek Gardner realizzi la 001: la prima Tyrrell. Una macchina tanto nuova quanto vincente, visto che, dopo i primi passi stentati avvenuti nell'ultima parte del campionato '70, è con essa che lo scozzese ritorna al vertice della F.1 nel '71.

Dalla sei ruote alla decadenza

Perso il proprio campione e il suo sostituto più naturale, come detto, Tyrrell si affida alla coppia Scheckter-Depailler, con Derek Gardner a mantenere ben saldo il timone tecnico della squadra. Il geniale ingegnere stupisce il Circus nel '76, quando fa debuttare la sua ultima nata: la P34, la cui caratteristica è quella del tutto originale di montare sei ruote: due dietro e quattro, più piccole, davanti. La "sei ruote" come fu subito battezzata la P34, fu inquadrata dall'ambiente più come una trovata pubblicitaria che una monoposto con soluzioni tecniche d'avanguardia (soluzioni sperimentate anche dalla March, che realizzò anch'essa una monoposto - mai però utilizzata in corsa- a sei ruote, con la differenza rispetto alla Tyrrell di avere le quattro ruote sull'asse posteriore anziché su quello anteriore). Sta di fatto che questa "trovata pubblicitaria", vinse il GP di Svezia del '76 con una doppietta firmata Scheckter-Depailler. Ma, al di là di questo successo, proprio questo progetto fu la causa della rottura del sodalizio storico fra Tyrrell e Gardner. Negli anni successivi, il team che aveva nel suo palmarès tre titoli iridati, dovette accontentarsi di tre vittorie, ottenute da Depailler nel '78 a Montecarlo, e da Alboreto nell'82 e nell'83 a Las Vegas e a Detroit. Da quel momento, il team non vincerà mai più una corsa, barcamenandosi nel mondiale come una delle tante squadre spesso sull'orlo della chiusura. Chiusura puntualmente arrivata, come detto, nel 1999, quando la British American Racing, rilevò tutto il materiale della Tyrrell per dar vita a una nuova scuderia.



Il Gran Premio di Francia 1968 fu una gara di Formula 1, disputatasi il 7 luglio 1968 sul Circuito di Rouen. Fu la sesta prova del mondiale 1968 e vide
 la vittoria di Jacky Ickx su Ferrari, seguito da John Surtees e da Jackie Stewart. La gara venne funestata da un incidente mortale che coinvolse
il pilota francese Jo Schlesser, perito nell'incendio della sua Honda dopo uno schianto contro le barrerie di protezione.



La Liegi-Roma-Liegi, storica e prestigiosa manifestazione automobilistica iniziata ben 80 anni fa nel 1931.

l
1931

l
1950 1952 1953 1953 1954

Sin dalla sua prima edizione, la corsa era stata organizzata dall’Automobil Club di Liegi Motor Union ma,
per reinventare il mito e riportarlo nel calendario storico internazionale del Motorsport, un accordo è stato
trovato fra  il Royal Automobil Club del Belgio (RACB) e la Classic Events, già organizzatrice
di numerose
gare riservate a vetture d’epoca.


1955 1955 1955 1955 1957



1957 1959 1959 1960 1960
Piloti di fama internazionale come Pat Moss, Erik Carlson, Jack Ixck, Eugen Bohringer hanno avuto l’onore di tagliarne per primi il traguardo.


Gran Premio d'Argentina 1996 si è svolto il 7 aprile sul Circuito di Buenos Aires.

 Ha vinto Damon Hill su Williams, precedendo il compagno di squadra Jacques Villeneuve e Jean Alesi su Benetton.
Al 24º passaggio Diniz tenta di doppiare Badoer, ma i due vengono a contatto e la Forti dell'italiano decolla, atterrando a ruote all'aria; Badoer è illeso, ma la direzione gara manda in pista la safety car. Alcuni piloti, tra cui lo stesso Diniz, ne approfittano per effettuare il rifornimento; sulla Ligier del brasiliano, però, il bocchettone del carburante rimane aperto e della benzina finisce sul motore e sugli scarichi, prendendo fuoco.
 La vettura si incendia, ma Diniz esce illeso dall'abitacolo.


La strage del 1952 al Grenzlandring (costruito prima della Seconda Guerra Mondiale (nel 1938 o 1939) per scopi militari e rimasto sconosciuto. Durante la guerra è rimasto intatto e nel 1947 è stato "scoperto" casualmente ed usato fino al 1952): Helmut Niedermayr con la sua Reif/Veritas-Meteor Formula 2 va a sbatere alla Roermonder Kurve alla velocita' di 200km/h uccidendo 14 persone e ferendo ne altre 42... Mi pare che al epoca il fatto sia stato volontariamente censurato dai media, anche se, dopo un po' il governo ha deciso che non ci sarebbero state piu' corse sul circuito...





Le F1 hanno corso su diversi tracciati cittadini o semi-permanenti nel corso della storia di questo sport. Uno dei tracciati cittadini su cui le F1 corsero fu il GP del Montjuich. Parliamo dell'edizione 1975 di questa corsa: l'ultima edizione di questa gara. Il tracciato del Montjuich già di per sè, come molti cittadini, non era particolarmente sicuro ma l'edizione '75 risultò particolarmente mal organizzata. Un'immagine particolarmente eloquente di questo sono i guard-rail fissati male.

 Il guard-rail viene ripristinato da Ken Tyrrell.....  (proprietario del Team TYRRELL)

 Emerson Fittipaldi saluta la compagnia il sabato: si rifiuta di correre in quelle condizioni. Il fratello di Emerson segue il suo esempio. Sono in molti a voler imitare Fittipaldi: era una F1 più abituata al rischio, ma i piloti non erano dei pazzi incoscienti e si resero conto subito che correre in quelle condizioni non aveva senso. Alla fine però gli organizzatori hanno la meglio e si corre (senza prendere in considerazione le richieste dei piloti) ma sarebbe stato decisamente meglio annullare la gara. Al via le Ferrari si auto-eliminano; ad un certo punto, incidente dopo incidente, a guidare la gara si trova Rolf Stommelen alla guida di una lola del team Hill.


La Lola di Rolf Stommelen, però, perde l'ala posteriore e vola tra il pubblico. Muoiono 4 persone, si salva invece il pilota Stommelen.
La gara è interrotta e la vittoria va a Mass. Dopo quella terribile edizione il Montjuich sparisce dal calendario della F1.


La Lola di Rolf Stommelen dopo il volo....




Paul Hawkins - Monaco - 1965
Robert Paul Hawkins

 (Melbourne, 12 ottobre 1937 – Oulton Park, 26 maggio 1969) è stato un pilota di Formula 1 australiano, morto in un incidente durante la gara automobilistica del Tourist Trophy sul Circuito di Oulton Park nel 1969

Figlio di un pilota motociclistico dedicatosi poi alla religione, Hawkins cominciò a correre con le berline in Australia, per poi trasferirsi in Europa insieme all'amico Frank Gardner in F3 inglese negli anni sessanta.

Nel 1965 fece il suo debutto in Formula 1 al Gran Premio del Sudafrica non andando oltre il nono posto. Al successivo appuntamento di Monaco fu protagonista di un singolare incidente divenendo l'unico pilota insieme ad Alberto Ascari a cadere nelle acque del porto con la propria vettura. Prese parte alla sua ultima gara in Formula 1 in Germania, ritirandosi.

Dopo questa esperienza si dedicò alle gare per vetture sport, ottenendo diversi successi tra cui il più importante fu la vittoria della Targa Florio nel 1967. Morì però nel 1969 durante il Tourist Trophy schiantandosi contro un albero.


2001:L'ultima di Hakkinen.

Il 30 Settembre 2001 Mika Hakkinen ha messo a segno la ventesima e ultima vittoria della sua brillate carriera; ad Indianapolis, a bordo di una Mclaren MP4-16 ha battuto tutti, sbucando quasi dal nulla: nessuno avrebbe scommesso su questo risultato, le caratteristiche del circuito sembravano favorevoli alla Ferrari e alla Williams BMW, in casa McLaren non si pensava quindi che quello di Indianapolis sarebbe stato un pomeriggio da ricordare; oltretutto il "Finlandese Volante" aveva annunciato alcuni giorni prima che avrebbe preso un anno di pausa ...
Non si trattava un appuntamento atteso da Mika con ansia: quando a Monza ha avuto l'incidente alla Lesmo (durante le qualifiche) ha iniziato a pensare se fosse il caso di non correre le ultime gare, quasi il botto di Monza fosse un campanello d'allarme; gli dispiaceva inoltre che non ci sarebbe stato con lui il suo ingegnere di pista, Mark Slade, rimasto in Inghilterra per stare accanto alla compagna in attesa. L'avrebbe sostituito Mark Williams, una persona molto competente ma non sarebbe stata comunque la stessa cosa ... oltretutto l'atmosfera che avrebbero trovato ad Indianapolis, dopo quello che era accaduto a New York ... si può affermare che non si trattava del GP a cui Mika e gli altri piloti avrebbero voluto partecipare ...
Questa di Indianapolis era l'ultima gara di Jo Ramirez, coordinatore del team McLaren, quindi nel paddock l'atmosfera era quasi da "ultimo giorno di scuola"; era uno splendido pomeriggio, dove quelli che non sarebbero andati in Giappone facevano a gara per avere una foto assieme a Mika.
Il Venerdì, dopo le libere Mika ha avuto buone e cattive notizie: era il più veloce, la macchina era ben bilanciata ma aveva grossi problemi di blistering sulle Bridgestone posteriori, la mescola più dura sembrava la meno stabile; insieme ai suoi ingegneri ha osservato i dati della telemetria e ha optato per la mescola più morbida, anche una volta individuati i punti del circuito dove avrebbe potuto risparmiare i pneumatici dosando al meglio l'accelleratore o convivendo con un po' più di sottosterzo.
Il Sabato in qualifica è quasi riuscito a dare la zampata vincente, e si è ritrovato in prima fila a 0"2 da Michael Shumacher, che era invece sulle Bridgestone dure; il fatto di partire davanti lo rendeva ovviamente molto felice.
Il giorno dopo il warm-up si è svolto regolarmente sino a quando il BMW di Montoya non ha inondato la pista d'olio ... la sessione è stata interrotta per 10'; quando è ripartito ha lasciato sulla sua destra una fila di monoposto ferme, convinto che dovessero provare una partenza, ma così non ha visto il semaforo rosso. La macchina era perfetta, eveva più carburante del compagno di squadra, ma comunque si sentiva molto veloce; poi, senza nessuna avvisaglia, all'ingresso di una curva gli anteriori si sono bloccati: ha cercato di riprendere il controllo, senza riuscirci, e la macchina ha sbattuto contro le barriere di protezione.
Così si è ritrovato ai box assieme ai suoi meccanici: il telaio è risultato perfetto, nonostante l'incidente, così la monoposto è stata riassemblata in fretta dai suoi ragazzi; poco dopo ha avuto comuncazione della penalità inflittagli dai commissari, che non stettero a sentire le sue spiegazioni: era uscito dalla pit lane con il rosso, avrebbe quindi preso il via con il suo secondo miglior tempo, ovvero dalla quarta piazza.


   


Si arriva così al via: dopo una partenza regolare si è concentrato per percorrere il primi giri come stabilito: dosava l'accelleratore, senza strafare in modo da risparmiare più a lungo possibile i pneumatici posteriori. Ferrari e Williams intanto erano sempre in vista, non stavano prendendo il largo.
Ralf Shumacher si è fermato presto per il pitstop, Barrichello poco dopo; Montoya, che aveva appena superato Shumacher, ha parcheggiato la monoposto lungo il rettilineo nel 38° giro.
Michael è rientrato, lasciando a Mika il comando; aveva ancora carburante per alcuni giri e i pneumatici ancora perfetti: ha letteralmente volato prima del pitstop, sfruttando al massimo le Bridgestone, accuratamente preservate nella prima parte di gara, guadagnando così un margine sufficiente su Michael Shumacher.
A questo punto Rubens era di nuovo al comando, ma doveva effettuare una nuova sosta; una volta effettuata è rientrato a 5" da Mika mentre Michael, terzo, sembrava innoquo: forse la scelta delle Bridgestone più dure si stava rivelando un errore ...
Mika ha guidato con la massima cautela possibile, cercando di non commettere errori, mentre il vantaggio su Rubens si riduceva a 2"; si aspettava dei giri piuttosto tirati, conscio della necessità di concentrarsi al massimo, ma ad un certo punto Rubens è sparito dai suoi specchietti.
Dai box è stato avvertito via radio che Rubens si era ritirato per un problema al motore, ed è stato invitato a rallentare, consiglio che lui ha puntualmente seguito ...
Dopo aver tagliato il traguardo Michael l'ha affiancato e l'ha applaudito; lui ha portato le mani al cielo: quel che si dice una condotta di gara perfetta ...



Morto Cooper, padre geniale della Mini



 All'età di 77 anni si è spento ieri a Londra il creatore di uno dei simboli degli anni Sessanta,
 l'utilitaria snob

LONDRA - E' stata un mito degli anni Sessanta. Una leggenda pari a qualla dei Beatles. Amata da più di tre generazioni di automobilisti, la Mini ha perso ieri uno dei suoi più geniali 'trasformatori': John Cooper, colui che all'umile modello madre della Mini, creata da Sir Alec Issigonis nel 1959, tolse l'aspetto di semplice utilitaria per donarle, con ritocchi al motore e al design, un destino di auto 'cult' nel mondo dell'automobilismo da corsa.
Cooper, malato da tempo di cancro, è morto ieri all'età di 77 anni a Londra, lasciando la moglie Paola e la figlia Sally. Doug Nye, scrittore esperto di gare automobilistiche e amico di famiglia Cooper, ha detto che con la morte del padre della Mini si è perso un uomo che era "una rarità nel mondo delle auto da corsa, uno che non aveva rivali. Cooper piaceva ed era rispettato da tutti e sicuramente le sue conquiste in questo campo sono state enormi".

Il Gran Premio d'Argentina 1958 fu la prima gara della stagione 1958 del Campionato mondiale di Formula 1, disputata il 19 gennaio sul Circuito di Buenos Aires.La corsa vide la vittoria di Stirling Moss su una Cooper T43 iscritta dal Rob Walker Racing Team. 

Fu la prima vittoria per una squadra privata e per un'automobile a motore posteriore.

Secondi e terzi classificati i ferraristi Luigi Musso e Mike Hawthorn.


La Cooper Car Company fu infatti la prima casa britannica di motori da corsa a vincere il campionato dei costruttori di Formula 1. Furono loro ad avere l'idea di mettere il motore dietro la carlinga e tutte le auto da Formula 1 seguirono, con successo, l'esempio di Cooper. Trasformazioni quelle fatte da Cooper sulla Mini che l'hanno resa la beniamina di almeno tre generazioni di automobilisti. Patito delle auto che pensava ai motori anche di notte, John Cooper riuscì a proporre una variante da mito dell'utilitaria diventata uno dei simboli dei "Roaring Sixties" e della "Swinging London".
Truccò il motore, modificò la carrozzeria, si inventò una vernicatura bicolore verde e bianca: la Cenerentola della strada diventò così una reginetta della velocità che fece innamorare migliaia di appassionati di guida sportiva. Per le sue dimensioni contenute e la sua tenuta di strada nei rally e in certe competizioni era un bolide imprendibile e i piloti che ne hanno preso il volante hanno trionfato in innumerevoli gare.
Da insaziabile amante dei motori quale era, John Cooper fondò e diresse anche una scuderia di Formula Uno sotto i cui colori hanno gareggiato personaggi del calibro di Stirling Moss e Jack Brabham.


FEBBRAIO 1962
Nei test di Goodwood, con la Lotus T18 Climax, Moss e vittima di un terribile incidente che pone fine alla sua carriera.







LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

1957 Mille Miglia - la morte Alfonso De Portago


De Portago 1000 Miglia 1957, l’ultimo rettilineo.




 

Corte Colomba la fine del mito



Alfonso de Portago (a sinistra) assieme al navigatore Edmund Nelson
alla partenza della Mille Miglia 1957

L’uscita della curva è veloce e davanti si apre il lungo rettifilo nel mezzo della pianura.
Al lato esterno una fila di alberi precede il fosso che scorre vicino alla banchina di terra prima di raggiungere l’asfalto tra Cerlongo e Guidizzolo.
Uguale dalla parte opposta.
Il dodici cilindri della rossa Ferrari n. 531 si apre ad urlo su questa strada che va via come una fucilata per quasi 5 km. In leggera discesa prima di raggiungere le case del paese. La mano di De Portago lascia meccanicamente la leva del cambio e ritorna sul volante serrando le dita per fronteggiare meglio le solite vibrazioni dello sterzo ormai affaticato dai tanti chilometri percorsi. Le dita stringono il volante mentre un sospiro di tensione percorre il corpo. Il piede destro con decisione preme l’acceleratore. Sa che mancano ormai pochi chilometri all’arrivo e forse il sorpasso a Gendebien si sta concretizzando. Qui la 335 S è molto più veloce della 250 GT del compagno di squadra. Gli occhi stanchi ed arrossati fissano il sottile filo nero dell’asfalto cercando un riferimento negli alberi che si aprono sempre più velocemente. Occorre stare al centro della strada tenendo “giù” il piede fino all’apparire delle prime case dove bisogna passare al freno. Fino alle case però la strada è dritta e si deve spingere al massimo.









Nelson, seduto al suo fianco, cerca di contenere quella sensazione allo stomaco che ti prende quando la velocità sale. Abbassa la testa un attimo ed ha la sensazione improvvisa che qualcosa è diverso, strano. Con la coda dell’occhio guarda il suo pilota e vede, nella frazione di un lampo, le mani serrate sul volante in tremenda tensione. Alfonso De Portago, “Fon” per gli amici, sente la macchina diventare leggera e nell’attimo capisce che la strada non segue più il suo volere; il suo cuore impazzisce……..ma non c’è più tempo…….
Loro, gli altri, gli spettatori, sono fermi lungo il ciglio della strada con il giornale tra le mani per cercare di leggere il numero dipinto sulle macchine che passano. E’ gente semplice, contadini che, lasciata la vita dei campi in questo giorno di festa, si sono assiepati in piccoli gruppi lungo il rettifilo che porta a Guidizzolo.Quello con il giornale legge ad alta voce i nomi dei piloti e i modelli delle macchine. Battono le mani, salutano, ridono, si stupiscono.
 I bambini hanno gli occhi grandi ed ogni tanto si “beccano” qualche rimprovero se non qualche “scappellotto” perché si muovono troppo pericolosamente lungo la strada. Le madri non sono tranquille. Questa modernità così tanto lontana e sconosciuta, le rende apprensive, timorose. L’urlo del motore possente si avverte da lontano.La Ferrari…..arriva la Ferrari…… la Ferrari…….ma ecco il diverso rumore, il sibilo ferreo di qualche cosa che stride, poi…….la modernità piomba urlante dentro gli occhi grandi pieni di terrore…….

 

    All’altezza del km. 21 in località Corte Colomba di Cavriana, è scoppiata la gomma anteriore sinistra. Sono circa le 16.03. La Ferrari Sport 335 S numero di gara 531, prosegue la sua corsa per altri 28 metri spostandosi leggermente verso sinistra.

 De Portago fa una prima correzione ma a circa 38 metri dal punto dello scoppio, la Ferrari punta decisamente il ciglio di sinistra e lo taglia a una distanza di 92,50 metri.Il pilota fa una nuova correzione ma la macchina non risponde e va dritta verso un paracarro di sasso posto a 118,90 metri.

 L’impatto è terrificante. Il grosso paracarro viene tranciato di netto e la parte superiore vola a 36 metri di distanza.Considerato il peso del paracarro di circa 40 kg. si calcolerà che l’impatto è avvenuto attorno ai 200 km/orari.

La Ferrari si alza da terra spezzando un successivo palo telefonico ad un altezza di 160 cm. dal suolo. A questo punto la vettura, probabilmente capovolta, inizia la sua tragica scia di sangue falciando le persone che sostano sulla riva del fosso e nello spiazzo all’ingresso della Corte strisciando sull’erba fino ad un nuovo urto che la proietta per aria facendole attraversare tutta la sede stradale. Lo scontro con un secondo paracarro posto 10 metri più avanti la fa girare su se stessa prima di terminare la corsa dentro al fosso di destra dopo aver travolto altri spettatori.
I rumori, le urla, gli schianti.
Sul terreno resta la festa di una tragedia……………
Il ventottenne Alfonso de Cabeza de Vaca, 17° marchese De Portago ed il giornalista americano Edmund Gurner Nelson muoiono sul colpo mentre restano sull’asfalto in un tributo di carne le piccole vite di Virginia Rigon, Carmen Tarchini, Bernardino Rigon, Anita Boscaini, oltre a diversi feriti.E’ il secondo grave incidente e l’ultimo che la Mille Miglia paga dopo il dramma del 1938 a Bologna dove la Lancia Aprilia di Bruzzo-Mignanego sbandando sui binari del tram, investì ed uccise dieci spettatori tra cui sette bambini.
Corte Colomba segna la fine della più grande corsa su strada, criminale come dicono i suoi detrattori, fantastica e travolgente come sostengono gli estimatori.
Dopo la tragedia di questa soleggiata domenica 12 maggio 1957 la bufera si abbatte sull’automobile e su Enzo Ferrari. Imputato di omicidio colposo e lesioni personali verrà assolto il 26 luglio 1961 per non aver commesso il fatto.
Molte sono le supposizioni e le spiegazioni del tragico evento di Corte Colomba.
Sul luogo della strage fu successivamente eretto un monumento commemorativo sulla SS236.
Corte Colomba segna la fine della più grande corsa su strada, criminale come dicono i suoi detrattori, fantastica e travolgente come sostengono gli estimatori. Dopo la tragedia di questa soleggiata domenica 12 maggio 1957 la bufera si abbatte sull’automobile e su Enzo Ferrari. Imputato di omicidio colposo e lesioni personali verrà assolto il 26 luglio 1961 per non aver commesso il fatto.
Molte sono le supposizioni e le spiegazioni del tragico evento di Corte Colomba.

Sul luogo della strage fu successivamente eretto un monumento commemorativo
sulla SS236.


Monumento ai Caduti della Mille Miglia situato
sul  punto in cui avvenne  l'incidente




Piero Taruffi si appresta a partire da Brescia per la XXIV Mille Miglia, che lo vide vincitore in quella sfortunata edizione conclusasi con la morte di Alfonso De Portago e del copilota Ed Nelson.

L'Ingegnere come veniva chiamato nel mondo delle corse, era un ottimo stradista ed abile collaudatore. Si racconta che un giorno provando una vettura sport a 300 km/h, si accorse che un cuscinetto della ruota anteriore "fischiava". Dopo la vittoria alla Mille Miglia, come promesso alla moglie e a Ferrari, Taruffi si ritirò dal mondo delle corse lasciando un segno indelebile di un gentleman di altri tempi.
Qui lo vediamo alla partenza con la sua vettura da gara, una Ferrari 315 S, mentre attende il finale del conto alla rovescia prima del via.
De Portago è partito da 4 minuti verso la sua ultima "cavalcata".

Gran Premio di Tripoli 1938

Tra i piloti della categoria GP, c'era anche Eugenio Siena, 33 anni, con un passato di collaudatore all'Alfa Romeo e cugino del grande Giuseppe Campari. Fu anche meccanico di Enzo Ferrari quando il futuro Drake era pilota della Casa milanese.

      Eccolo ai box di Tripoli.



All'ottavo giro , l'appuntamento col destino.
Dopo l'interminabile rettilineo dei box, Siena si trovò a dover doppiare un'auto, forse la piccola Maserati 6CM di Franco Cortese.
 L'alfista si portò sulla sinistra, ma le ruote finirono oltre il ciglio della strada. Dalle tracce che vennero rilevate sull'asfalto, sembra che il pilota tentò disperatamente di riportare la macchina sull'asfalto, sterzando bruscamente verso l'interno della curva, ma l'auto, dopo aver percorso
 una dozzina di metri di traverso, finì sulla sabbia volando su una duna e sbattendo violentemente contro una casa.

        Eugenio morì sul colpo.


Da Lauda a Montoya: come si costruisce un campione.

La storia della formula 1, è piena di piloti promettenti che si perdono dopo poche gare e di altri che, invece ottengono più di quello che realmente meritano.
Nello sport come nella vita, il carisma, la capacità di comunicare, sono fondamentali per il successo. Oggi, un giovane che voglia intraprendere la carriera di pilota, prima di dimostrare il suo valore in pista deve sapersi circondare di persone che lo spingano nella direzione giusta, che riescano ad imporlo come personaggio.
Il pioniere di questo modo di intendere le corse, è sicuramente Niki Lauda. Prima di approdare alla Ferrari, era un perfetto sconosciuto, non aveva mai vinto nulla ed era sempre più lento dei suoi compagni di squadra.
Ronnie Peterson era regolarmente più veloce di almeno cinque decimi al giro ma, lo svedese, pensava solo a guidare senza curare le pubbliche relazioni e, infatti, non ebbe mai l'opportunità di guidare una vettura competitiva.
Niki, invece, ha sfruttato il fatto di essere stato scelto da Ferrari, per attirare su di sé l'attenzione degli sponsor e di tutto il team, proteso a dimostrare che il Drake aveva visto giusto.
Quando lascia la Ferrari per un team meno competitivo è in difficoltà e, di nuovo, stenta a tenere il passo dei compagni e dell'astro nascente Nelson Piquet, tanto da ritirarsi.
E' poi richiamato da Ron Dennis che ha bisogno di un uomo immagine per risollevare il marchio McLaren.
I tifosi di Niki sostengono che sia stato lui l'artefice della rinascita del team McLaren. In realtà la maggior parte del merito è da attribuire all'altro pilota dell'epoca, John Watson.
Lauda è stato un grande maestro. Piquet, suo compagno alla Brabham, è sempre riuscito ad avere una scuderia che lavorasse solo per lui, Prost era un pilota velocissimo ma inconcludente e solo dopo essere stato compagno di Niki, ha iniziato a vincere titoli mondiali e ad avere un notevole peso politico.
Michael Schumacher si è mosso in questo senso fin dall'inizio e, guidato dal manager Willy Weber, è riuscito ad avere sempre un team costruito su misura per lui. I successi sono, di conseguenza, arrivati subito.
Basta vedere i nomi dei suoi compagni di squadra o leggere le dichiarazioni di Herberth al riguardo per averne la prova.
Per favorire un pilota rispetto ad un altro, basta "giocare" con l'elettronica. La stagione 1999 è un esempio evidente. Dopo l'incidente di Schummy, Eddie Irvine è diventato all'improvviso, un pilota vincente quel tanto che basta per conquistare il titolo costruttori, non quello piloti, quello doveva assolutamente vincerlo Schumacher.
Ora, il nuovo astro nascente, sembra essere il colombiano Juan Pablo Montoya.
Nel 1999, si diceva che Zanardi non valeva niente perchè era più lento di Ralf Schumacher di 3 - 4 decimi al giro, Montoya è più lento di 6 decimi ed è un campione? Credo che questo sia veramente il colmo e la dimostrazione di quanto affermo.
Tutto questo per far capire quanto sia relativo stabilire se un pilota è migliore di un altro e non per sminuire le doti dei piloti che ho citato che, sicuramente, sono stati fra i più forti della storia. Molti sono spariti proprio perchè non hanno saputo gestire questo aspetto della carriera. Oltre al già citato Peterson, mi viene in mente Alboreto che rifiutò la McLaren per la Ferrari, Alesi che rifiutò la Williams. Quanto sarebbe cambiata la loro storia se fossero stati indirizzati meglio? Frentzen era considerato il pilota tedesco più veloce, persino di Schumacher. Luca Badoer ha vinto tantissimo nelle formule minori e batteva regolarmente Damon Hill e Coulthard eppure, questi piloti, non sono riusciti ad imporsi.
Permettetemi di escludere da questo discorso un pilota che, come risultati, non può essere paragonato con nessuno. Prima di arrivare in formula uno, vinse il 70% delle corse disputate e si parlava di lui come di un futuro campione, già nel 1981 quando correva in F.Ford.
Poteva vincere la sua prima gara già al sesto gran premio con una vettura che, prima del suo arrivo, a stento si qualificava. La vittoria gli fu rubata per i motivi politici e di sponsor.
Malgrado questi risultati, ha avuto la prima vettura competitiva solo al quinto anno di F.1, è stato osteggiato dalla F.I.A., perché osava criticarla e offuscava la fama del suo pilota prediletto, Alain Prost.
Il suo nome, per chi non lo avesse capito, era Ayrton Senna da Silva.



Il 1937 è un anno tragico per Nuvolari.
Poche corse, una sola vittoria, la morte del primogenito Giorgio e un brutto incidente a Torino


 Gran Premio della Repubblica Ceca del 1937 -  L'incidente di Hermann Lang, causò la morte di 2 spettatori e 12 feriti.  


La tragedia di Monza.

MONZA - (10 Settembre 2000)  

Si temeva la prima variante ma è alla Roggia che si scatena il finimondo.Barrichello tenta il sorpasso ai danni di Trulli, ma il brasiliano viene toccato da Frentzen che, dopo il contatto con il ferrarista, si gira e va a toccare Trulli. A questo punto il caos diventa totale: si alza un polverone enorme, macchine incontrollabili che si incastrano, detriti che vengono "sparati" ovunque.
La Arrows di De La Rosa, che giunge dalle retrovie, si ritrova nel pieno della confusione e, al contatto con un cordolo, si stacca da terra e comincia una terribile serie di giravolte in aria, finendo addosso a Barrichello ormai fermo nella sabbia.
Alla fine le macchine coinvolte nel terribile incidente sono 5: Barrichello, Coulthard, Trulli, Frentzen e De La Rosa. Esce la safety car, macchine superstiti e piloti in fila indiana. Alla fine i coinvolti escono sulle proprie gambe da quanto rimane delle vetture, ma chi ha la peggio e’ un uomo del servizio antincendio, colpito da un detrito impazzito.Le sue condizioni purtroppo peggioreranno rapidamente fino alla inutile, disperata corsa in ospedale.
L’addetto al servizio antincendio, Paolo Gislimberti 33 anni di Trento, si trovava a lato della pista dove si è verificato l’incidente.Il volontario è stato colpito da una serie di detriti schizzati letteralmente dalla pista e ha riportato importanti ferite alla testa e alla scatola toracica. La situazione è apparsa immediatamente grave, i medici di soccorso hanno praticato allo sfortunato un massaggio cardiaco ma si capiva chiaramente che la situazione era grave.Trasportato d’urgenza all’ospedale di Monza, pareva avere superato il momento critico ma purtroppo il sopraggiungere di una nuova crisi è risultata fatale.
Heinz Harald Frentzen
risponde al coro di critiche che lo accusano di essere l’unico responsabile dell’incidente della Roggia, nel quale ha perso la vita il giovane addetto antincendio Paolo Gislimberti. In particolare era stato Rubens Barrichello, speronato dalla Jordan del tedesco, a scagliarsi contro di lui con violenza, accusandolo e proponendone la sospensione per dieci gran premi. Da una ricostruzione dell’accaduto tramite immagini televisive si è accertato che è stata una ruota del tedesco a colpire lo sventurato ragazzo, ma Frentzen non ci sta a sentirsi incolpato addirittura di omicidio.
"Io penso che chi mi conosce sa che nella mia carriera non sono mai andato a cercare rischi inutili alla partenza - risponde il pilota della Jordan - non ho certo la fama di uno che rimane coinvolto spesso negli incidenti. Il primo giro è sempre la parte più rischiosa di una gara ed è inevitabile che se diverse circostanze accadono, i rischi di una collisione sono molto alti. Ma così come hanno dimostrato le indagini fatte dopo la gara, si è trattato unicamente di un incidente di corsa, come ne accadono tanti, solo che questa volta ha portato conseguenze tragiche. Il mio dolore è enorme ma non ho ucciso io quel povero ragazzo".
Il tedesco non se la sente di condannare neanche il comportamento di Barrichello, davvero infuriato con lui durante e dopo la gara."Ho sentito che Rubens mi ha accusato di tutto l’incidente. Nel suo caso, posso capire i suoi sentimenti perché guidare una Ferrari a Monza è una situazione molto particolare ed essere usciti al primo giro è una delusione. Ma le responsabilità negli incidenti non sono così semplici da attribuire come vorrebbe far credere lui".




Gran Premio di Spagna 1969

Jochen Rindt
 

Il Gran Premio di Spagna 1969, XV Gran Premio de España di Formula 1 e seconda gara del campionato di Formula 1 del 1969, si è disputato il 4 maggio sul Circuito del Montjuïc ed è stato vinto da Jackie Stewart su Matra-Ford Cosworth. 

La gara sarà caratterizzata da un proliferare di alettoni sempre più grandi sulle vetture. Il cedimento dei supporti dell'alettone posteriore sulle due Lotus di Hill e Rindt, nello stesso punto porterà la Commissione sportiva internazionale a intervenire con un repentino cambio di regolamento a partire dalla seconda giornata di prove del successivo Gran Premio di Monaco.



Ignazio Giunti

Ignazio Giunti nacque a Roma il 30 agosto 1941. Iniziò a correre nel 1961 con un’Alfa Romeo Giulietta TI. Dopo il debutto con la Giulietta iniziò a correre con le GTA. L’anno determinante per Giunti fu il 1966, quando la scuderia Jolly Club di Milano gli mise a disposizione una GTA per il campionato assoluto. Gli ottimi risultati conseguiti gli permisero, l’anno successivo, di entrare all’Autodelta, il distaccamento sportivo dell'Alfa Romeo. Qui Giunti si dimostrò pilota valido sia con la nuova vettura sport-prototipo, la 33, sia con la GTA. E proprio con la GTA si aggiudica il campionato europeo della montagna categoria Turismo.

Nel 1968 gli viene affidata una nuova versione della 33 con la quale, insieme a Nanni Galli, corre nel Campionato mondiale Marche. In quell’anno si laurea campione italiano della categoria Sport – Prototipi.
Per tutto il 1969 la laboriosa messa a punto della nuova 33-3 pregiudicò anche le prestazioni del pilota romano. A fine stagione tuttavia lo chiama Ferrari per ingaggiarlo come pilota ufficiale.
Nel 1970, le notevoli affermazioni di Giunti nel Campionato mondiale Marche con la Ferrari 512S, segnarono la sua definitiva affermazione fra i piloti di fama mondiale. Ciò convinse Ferrari ad affidargli anche una F.1 e a fine anno Giunti è campione italiano assoluto.

Nel 1971 il pilota romano avrebbe dovuto gareggiare, oltre che nel Campionato mondiale Marche con la nuova 312 P, anche in qualche prova di formula 1. Invece trovò la morte il 10 gennaio di quell’anno sul circuito di Buenos Aires, mentre dominava
Giunti tallonava la Ferrari 512 del doppiato Mike Parkes, quando la pista venne inspiegabilmente occupata dalla Matra in avaria di Beltoise, che il pilota francese stava spingendo a mano verso i box! Parkes evitò l’ostacolo mentre Giunti non fece in tempo: la sua Ferrari si schiantò contro la Matra.
con la Ferrari 312 P la "1000 Km".



AUTODROMO di MODENA


Modena ed i motori, un connubio che viene da lontano, ancor prima che in città si pensasse
di costruire delle strutture destinate alla corse automobilistiche.

Le prime gare si svolsero su tracciati stradali, come era uso all’epoca; infatti il Circuito di Modena, che fu organizzato dal 1927 al 1947, si svolse sulle strade cittadine. Le prime due edizioni si corsero su un tracciato extraurbano di 12 km (Via Emilia-Via Scartazza-Via Vignolese ritornando sulla Via Emilia per Via Sabatini) da percorrere trenta volte e furono entrambe vinte da Enzo Ferrari su Alfa. Le successive edizioni del Circuito di Modena si svolsero nel cuore della città, sull’anello dei Viali (3,2 km per 40 volte), con tre vittorie consecutive
di Tazio Nuvolari e due di Franco Cortese.

 L’ottava e ultima edizione, del 28 settembre 1947, fu interrotta prima del termine a causa di un brutto incidente.
Da quel momento in poi, cominciò a farsi strada l’esigenza di avere una vera pista, ove fosse possibile gareggiare
 
con le moderne vetture e motociclette.

Era il 7 marzo 1948, data in cui l’Automobil Club d’Italia si riunì a Milano. In quella sede l'avvocato Camillo Donati, vice presidente dell'ACI di Modena illustrò in tutti i particolari l’importanza della realizzazione di un impianto sportivo nella città di Modena, presentando il progetto
 realizzato dal geometra Enzo Dalaiti.
L'area destinata alla costruzione dell'impianto venne identificata in quel terreno che anche oggi ritroviamo parallelo allavia Emilia e che già dal 1910 ospitava una pista d’atterraggio per aerei e un attracco per dirigibili. La zona era delimitata a nord dalla via Emilia, a sud dalla via San Faustino, a ovest dalla via Formigina (che nel tratto parallelo all’impianto, e oggi al parco, divenne Viale dell’Autodromo) e a est dal muro perimetrale del complesso militare una volta noto come Ottavo Artiglieria e ancora oggi come 6° Campale.

Galleria Fotografica










Il via ufficiale ai lavori di costruzione venne dato il 28 marzo 1949 con un contributo comunale di 15 milioni in tre anni, assegnati ai presidenti dell'Aereo Club e ACI. Già il 12 dicembre successivo la pista d’aviazione era operativa e venne inaugurata. Per le gare automobilistiche si dovette attendere la primavera dell’anno successivo, ma il primo traguardo era già stato tagliato. L'Aerautodromo fu inaugurato il 7 maggio 1950 e misurava 2,306 km. che potevano diventare 3,800 con l'inserimento, nelle gare, della pista di aviazione (da cui il nome). Con la nascita dell'Aerautodromo finì l'epopea delle corse su strada della città come il Record Mondiale del Miglio sulla Via Nonantolana nel 1909 e nel 1910. La prima edizione, vinta da De Zara a oltre 141 Km orari aveva registrato anche la partecipazione di modenesi illustri, come Guido Corni, Claudio Sandonnino e Francesco Stanguellini.


Gran Premio di Modena disputato l'8 settembre 1950
Il circuito, fortemente voluto da Modena e dai modenesi, venne usato: per gare di auto e moto, come pista di prove dai costruttori di vetture sportive modenesi, come aeroporto, e talvolta fu impiegato anche dai militari della vicina Caserma del 6° Campale. Non mancava l’utilizzo turistico e commerciale, con voli destinati al trasporto veloce della frutta e della verdura prodotta a Modena ed inviata nei paesi del nord Europa.  Un insieme di esigenze davvero eterogeneo, ma che dimostrò la vitalità della struttura da poco sorta in città.


Con i suoi undici anni di attività agonistica l'Aerautodromo fu il fulcro ed il cardine del binomio Modena-Automobilismo Sportivo, con il costante avallo organizzativo dell'A.C. cittadino. Vi si corsero, dal 1950 al 1961, sette edizioni del Gran Premio di Modena di automobilismo per monoposto di F2 che videro le vittorie di Alberto Ascari, Gigi Villoresi, Manuel Fangio, Jean Behra, Joachim Bonnier e Stirling Moss. L’attività agonistica ed i grandi nomi dell’automobilismo sportivo presenti in città per le gare contribuirono alla fama dell'Aerautodromo portando a Modena vantaggi anche di tipo turistico e commerciale; infatti, al seguito del dilagante successo dell'automobilismo modenese giunse, inevitabilmente, tutto il jet-set internazionale: oltre che “capitale dei motori” Modena diventò così anche “capitale del bel mondo”.
All’Aerautodromo di Modena si tennero anche ventidue edizioni del Gran Premio di Modena di motociclismo fino al 1975 e due edizioni del Gran Premio di Modena di ciclismo. Purtroppo però già alla fine degli anni ’60 l’Aerautodromo non soddisfaceva più quei criteri di sicurezza che di lì a poco sarebbero diventati prescrittivi. Enzo Ferrari, che per il collaudo delle sue vetture aveva esigenze sempre crescenti, si risolse a costruire il circuito privato di Fiorano, non senza aver tentato la strada di coinvolgere l’amministrazione della Città nella costruzione di un nuovo e moderno impianto nei pressi di Marzaglia. Iniziò così un lento declino e sul finire degli anni ‘70 l’Aerautodromo fu chiuso.

Per capire quella che è stata l'importanza dell'Aerautodromo per la città di Modena si pensi che ad alcune di queste
manifestazioni parteciparono anche più di 50.000 spettatori, l'equivalente di metà della popolazione di allora.

Oggi il nuovo Autodromo di Modena, si appresta a raccogliere il testimone di questa illustre storia, diventando,
anch’esso
un importante patrimonio della città di Modena.


EUGENIO CASTELLOTTI VITTORIE, AMORE, MORTE


Castellotti, il pilota-playboy che morì nel mistero.
Il 14 marzo 1957, moriva Eugenio Castellotti in un incidente durante una seduta di prove all' aerautodromo di Modena.
Quella sera Delia Scala recita al teatro Verdi di Firenze: lo spettacolo ha le sue regole inflessibili.


1953 Coppa Inteuropa -
Castellotti su Lancia Aurelia B20 Gran Turismo Coupè
 Il pilota della Ferrari, nato il 10 ottobre 1930 a Milano, erede di un' agiata famiglia lodigiana, debutta nel 1951 alla guida di una Ferrari sport di sua proprietà. Già l' anno dopo ottiene i primi successi in Italia e all' estero, sempre con vetture sport Ferrari. Quando Castellotti è ormai un affermato pilota dilettante viene ingaggiato nel 1953 dalla Lancia.Inizialmente soltanto per le corse di durata ma in seguito arriva pure l' esordio con le monoposto, subito in Formula 1, nel GP Argentina 1955.Pochi mesi dopo, però, la casa torinese si ritira dalle competizioni e Castellotti passa alla Ferrari come pilota ufficiale. Eugenio si laurea campione italiano assoluto e termina al terzo posto nel Mondiale F.1.
  Ormai è un pilota affermato. Nel 1956, sempre con la Ferrari, il milanese ottiene il trionfo più grande con il successo nella Mille Miglia. Sono 1.600 chilometri da Brescia a Roma e ritorno, percorsi in meno di 12 ore sotto una pioggia continua e battente precedendo di oltre 12 minuti il compagno rivale Peter Collins e di oltre 34 l' amico Luigi Musso, che completa un podio tutto di piloti Ferrari.

Gran Premio di Argentina 1956 -  Castellotti  Lancia /Ferrari D50
 
Eugenio Castellotti è anche un personaggio da cronaca rosa. Dopo i flirt con Edy Campagnoli e Sandra Milo, entra stabilmente nella vita del campione l' attrice
Delia Scala. Così nel marzo 1957, mentre Castellotti è a Firenze, dove la sua compagna recita con Walter Chiari, arriva la convocazione della Ferrari per i test del giorno 14 con una F1.
Eugenio Castelloti. Segni particolari: veloce. velocissimo di bella presenza, molto ricco, il "ragazzo di Lodi" faceva parte di quella primavera Ferrari che oltre a lui vedeva schierati per il Cavallino rampante piloti del calibro di Musso, von Trips e Collins. Amico di Alberto Ascari fu testimone diretto della sua morte sulla pista di Monza, morte che segnò profondamente il suo animo. Con la soubrette Delia Scala, visse momenti travagliati, fino al punto di decidere di smettere con le corse dopo il matrimonio. Quel 14 marzo 1957, Eugenio lo passò all'Aerautodromo di Modena sotto gli occhi attenti di Ferrari, cercando di migliorare giro dopo giro il record della pista conteso a Jean Behra. La pista scivolosa, i pensieri rivolti verso Delia, verso il futuro matrimonio, verso l'obbligata rinuncia alle corse. Alla "S" Stanguellini Castellotti ritarda all'ultimo la staccata per guadagnare una manciata di centesimi di secondo, butta il muso della sua Ferrari all'interno della esse e tocca il cordolo della pista sbandando paurosamente e toccando ancora il cordolo, si dirige verso il prato con la vettura quasi ingovernabile, attraversandolo tutto e finendo capottato.
E' la fine di questo amato pilota, morto all'età di 27 anni, sicura promessa dell'automobilismo sportivo Italiano.




Fuoco !
Un'immagine tristemente comune nelle corse anni'70: una monoposto in fiamme.
Qui siamo a Monza e Clay Regazzoni è fortunato e abile a uscire in tempo dall'abitacolo della sua Ferrari, ma purtroppo non sempre c'era il lieto fine


   Con il 1937 la “XVII Coppa Ciano” veniva eletta a “XV Gran Premio d’Italia”. La massima competizione automobilistica nazionale abbandonava così l’Autodromo di Monza, tempio della velocità, per approdare in riva al Tirreno sperando che sulle più tortuose strade livornesi le vetture italiane potessero riscattarsi dallo strapotere messo in mostra nella stagione dalle argentee vetture tedesche; d’altra parte Nuvolari non aveva già messo in ginocchio le Auto Union su queste strade l’anno prima? Ma questa volta San Tazio ed i suoi miracoli non sarebbero stati sufficienti. Alla corsa su 50 giri del circuito di 7218 metri la Mercedes arrivò con l’ultimo velocissimo modello, la W125 di 5660cc, mentre l’Auto Union poteva contare sul modello C dell’anno precedente, non più in grado di competere con le rivali di Stoccarda. L’Alfa Romeo, sempre rappresentata dalla Scuderia Ferrari, poteva contare sulle vecchie 8C35 e 12C36 schierando anche la nuovissima 12C37 di 4500cc, ancora acerba, che venne affidata a Guidotti. Infatti in prova Nuvolari aveva provato la nuova vettura ma pur girando 2” più veloce, preferiva puntare sulla più affidabile 12 cilindri dell’anno precedente. Già dalle prove i tedeschi strapazzarono le auto italiane monopolizzando le prime due file, con la migliore Alfa, quella di Nuvolari, solo in terza fila. La partenza venne data, dopo il rituale degli inni e la sfilata delle auto e dei campioni, alle 15 in punto, davanti ad una folla strabocchevole che aveva occupato ogni metro del circuito, in particolare le tribune che per l’occasione avevano 2000 posti in più rispetto al consueto affiancando alle vecchie tribune in legno anche delle nuove tribune in ferro fatte venire da Milano apposta per l’occasione. Subito le macchine tedesche balzarono in testa, con Caracciola (Mercedes) davanti a tutti per tre giri poi superato da Lang (Mercedes) al comando fino al ventitreesimo giro. Nulla potevano fare le Alfa Romeo: Guidotti con la nuova 12C37 si ritirava al ventiquattresimo giro, Nuvolari pur scatenato come sempre, si fermava stanchissimo al trentunesimo giro per cedere il volante a Nino Farina. Le due Mercedes di Caracciola e Lang duellarono per tutta la gara vicinissime, arrivando quasi appaiate al traguardo dove Caracciola beffava il più giovane Lang di 2/5 di secondo. Terza l’Auto Union di Rosemeyer e la prima delle auto italiane, l’Alfa Romeo di Farina-Nuvolari, solo settima ad un giro.


Il Gran Premio di Germania è la nona prova del mondiale 1994 di Formula 1, un mondiale certamente segnato per la prematura scomparsa di Ayrton Senna a Imola.

Il Gran Premio di Germania 1994 si svolse il 31 luglio 1994 sull'Hockenheimring e fu il nono appuntamento mondiale della stagione 1994.
La gara segnò il ritorno alla vittoria della Ferrari dopo quasi quattro anni di assenza dal gradino più alto del podio.

Tra gli episodi salienti della gara, ci fu un incendio che scoppiò sulla Benetton di Jos Verstappen al momento del pit-stop.
Il pilota olandese riportò, fortunatamente, solo alcune piccole ustio

Alla partenza avviene un primo incidente nelle retrovie che coinvolge quattro monoposto, ma il peggio accade qualche istante dopo: alla fine del rettilineo, Hakkinen stringe verso il centro della pista e causa un contatto con la Williams-Renault di Coulthard. Il pilota della Mclaren perde il controllo della vettura, che si gira ed esce di pista tagliando la strada alle monoposto che sopraggiungono. Altre sei vetture vengono coinvolte in questo incidente e sono costrette al ritiro, mentre altre, essendo danneggiate, rientrano ai box il giro seguente. Per fortuna non c'è nessuna conseguenza fisica per nessuno dei piloti coinvolti. Intanto anche Alesi è costretto a ritirarsi poche centinaia di metri più avanti per problemi all'elettronica della monoposto. Nonostante il pericolo di detriti in pista e di vetture ferme in vari punti del tracciato, la gara non viene interrotta.

Le due Williams di Coulthard e Hill rientrano ai box dopo l'incidente e finiscono nelle retrovie perdendo più di un giro nei confronti degli avversari e non potendo più lottare per posizioni importanti. Dunque la gara continua con Berger, sulla Ferrari, in prima posizione, seguito a pochi decimi da Schumacher. Il tedesco della Benetton si rivela nettamente più veloce sul giro, tuttavia non riesce a superare il ferrarista: sui rettilinei si palesa la superiorità del motore V12 della Ferrari, rispetto al Ford V8 della Benetton.

Al quindicesimo passaggio il secondo pilota Benetton Jos Verstappen rientra ai box per il pit stop. Nel completare le operazioni tuttavia i meccanici sfilano troppo rapidamente il bocchettone di rifornimento del carburante: tale manovra impropria, complice la particolare soluzione implementata dalla scuderia britannica sulla valvola d'immissione del liquido (priva di filtro, in modo tale da velocizzare il travaso nel serbatoio e rendere l'operazione più veloce), causa una copiosa fuoriuscita di benzina che inonda la monoposto e, a contatto con il retrotreno rovente, s'incendia. Le fiamme vengono rapidamente domate e l'olandese riesce a mettersi in salvo autonomamente, riportando solo alcune lievi ustioni

Nel frattempo la gara continua con Berger e Schumacher in lotta, seguiti a lunga distanza dalle Ligier di Panis e Bernard (avvantaggiate dalla bontà dei propulsori Renault, rispetto alle altre vetture). Il tedesco della Benetton decide di anticipare il pit-stop, cercando di avvantaggiarsi nei confronti di Berger, tuttavia al ventesimo giro è costretto al ritiro a causa della rottura del propulsore della sua Benetton.

Nelle battute finali della gara si scatena un duello tra Gianni Morbidelli ed Érik Comas per la conquista della quinta posizione, vinto infine dal pilota italiano.


Berger mantiene il comando della gara e vince; la Ferrari torna alla vittoria dopo quasi 4 anni di digiuno, ovvero dal Gran Premio di Spagna 1990. Completano il podio Olivier Panis ed Éric Bernard; la Ligier piazza due vetture sul podio a quasi 9 anni di distanza dall'ultima volta, ossia dal Gran Premio d'Australia 1985. È la quarta ed ultima volta che ciò accade nella storia della casa francese, destinata a cessare l'attività da lì a due anni.



Dicembre 1978 -  Prima Parigi-Dakar -  182 veicoli alla partenza, ne arriverano a Dakar 74



F1 Storia: GP Italia 1988, un trionfo dedicato al Drake

L’antefatto della gara è il Leitmotiv della stagione 1998, uno scontro che ha un’unica, grande e indiscussa protagonista: la McLaren MP4/4, un vero e proprio missile affidato alla coppia che ciascun team manager vorrebbe avere… o forse no: Alain Prost e Ayrton Senna. E chi, molto probabilmente non li voleva era proprio Enzo Ferrari, ben abituato a gestire con sapiente maestria le rivalità, ma che quasi sicuramente avrebbe avuto più di qualche grattacapo con quei due piloti. Ma le loro capacità di guida in quel 1988 esplosero in modo deflagrante, tant’è che fino a quella gara vinsero in tutti i circuiti del Mondiale 1988. E anche a Monza non vollero assolutamente cedere, andando a prendersi la prima fila dello schieramento, mettendosi dietro le Ferrari di Berger e Alboreto.

Sulle tribune c’è uno striscione che sembra quasi profetico: “Gerhard – Alboreto, lassù il Drake vi guarda”. Lui che a Monza di gioie ne ha vissute tante e anche tanti dolori forse è veramente stato l’artefice di qualcosa di incredibile che si sarebbe consumato di lì a poco. La gara è tra Senna e Prost, per gli altri non c’è scampo, il loro vantaggio cresce a dismisura… fino al giro 30. Prost fa segnare un tempo assurdo: 1’36″672, chiaro segno che c’è qualcosa che non va. Infatti, 4 giri più tardi, il francese rientra ai box con il motore rotto e si ritira. Un sospiro di sollievo per Senna, che sembra al sicuro della vittoria e va piano come da istruzioni del box McLaren. Ma al giro 49 ecco che quello che sembrava impensabile alla vigilia: Senna deve doppiare Jean-Louis Schlesser, ma alla prima variante i due non si capiscono e finiscono entrambi fuori! Un errore che spalanca la strada del successo alle due Ferrari, che percorrono due giri in parata osannate dal pubblico e la gara finisce come forse lo stesso Ferrari avrebbe voluto. Alboreto rivela in conferenza stampa che alla fine lui e il compagno di squadra erano persino giunti a spingere, per omaggiare degnamente il Drake sulla pista di casa, là dove molte delle pagine del mito Ferrari sono state scritte e molti campioni hanno trovato la loro consacrazione.




Causa un problema ai freni la BRM di Dan Gurney esce di pista e ferisce mortalmente uno spettatore.




Carrera Panamericana


1952-1953. Mercedes Benz Typ 300 SL. (W.194-M. 194) 175 PS.

Tra le proposte prese in esame nel 1951 dopo la ricostituzione del reparto corse, vi è quella di ammodernare il motore da 1500 cmc. sovralimentato ( due W. 165 erano sopravvissuti in Svizzera), e di iniziare la progettazione di un 12 cilindri aspirato di 4500 cmc., soluzione alternativa contemplata dalla formula in vigore, ma prossima ad una variazione nel regolamento.
Su idea dell’ingegner Fritz Nallinger, responsabile del settore si decide di abbandonare il progetto F1 per dedicarsi alle corse di durata, nelle quali si poteva mettere in evidenza la robustezza e la validità del proprio prodotto. L’ingegner Uhlenhaut, partendo dall’unità motrice della 300 S., costruisce un telaio a tralicci in tubi sottili e intrecciati, disposti in maniera tale da lavorare solo a trazione o compressione, ma mai a torsione.
Il motore, derivato dall’M. 188 della 300 S., è un 6 cilindri 2996 cmc. con un nuovo carter per la lubrificazione a secco, che permette di inclinare il monoblocco di 40º verso sinistra con lo scopo di ridurre la sezione frontale, tanto da poter avere un cx di 0,38 e di superare i 240 km/h. L’alimentazione è assicurata da tre carburatori Weber 40 DCOE e, in seguito, da un Solex 40 PBIC.
Il telaio è rivestito da una carrozzeria in alluminio e, per la sua forma strutturale, dotato di portiere incernierate sul tetto, apribili ad ali di gabbiano.


 
19/23 novembre 1952. 3a Carrera Panamericana. Tuxtla. Messico.
Per questa gara, molto considerata per i riflessi che può avere sul mercato statunitense, la Mercedes allinea due Coupè 300 SL. e uno Spider: i primi per le coppie Lang-Krupp e Kling-Kleng, mentre la Spider è per l'americano John Fitch e il tedesco Eugen Geiger.
Una gara massacrante di 3113 km. divisi in otto tappe, per la quale occorre pianificare una logistica perfetta per quanto riguarda l'assistenza alle vetture, abituale lavoro di Neubauer. Nella prima tappa, mentre la vettura di Lang-Kleng fila a 200 km/h., un uccello sfonda il parabrezza dalla parte del copilota ferendolo lievemente.
Nell'immagine vediamo i due piloti (nei rifornimenti di tappa solo loro potevano provvedere alle operazioni), che stanno per ripartire e, sul vetro, è evidente il danno prodotto dall'impatto con il volatile.




John Love (Bulawayo, 7 dicembre 1924 – Bulawayo, 25 aprile 2005) è stato un pilota automobilistico zimbabwese.

Dopo aver cominciato a correre nella natia Rhodesia, Love si trasferì in Europa nei primi anni sessanta a correre per la squadra di Formula Junior di Ken Tyrrell, ma per vari motivi (tra cui un incidente) non riuscì ad ottenere grandi risultati nelle gare di Formula 1. Si impose però nel1962 nel campionato turismo britannico. Ritornò allora in Sudafrica dove si dedicò alle gare di Formula 1 locali, allora frequenti, che si alternavano a gare internazionali quando le principali scuderie si spostavano in Africa per il Gran Premio del Sud Africa o le gare di contorno non valide per il campionato mondiale.

Vinse per ben sei volte il Campionato sudafricano di Formula 1. Nel Gran Premio del Sud Africa 1967 Love si trovò a guidare una Cooper di due anni prima modificata con un motore "Tasman" Climax FPF da 2700 cc, vettura adatta per gare locali ma non all'altezza dei migliori piloti della Formula 1 al volante di monoposto da 3000 cc. Ciò nonostante, e a 42 anni, Love si qualificò quinto e in gara si ritrovò in testa quando al 61º giro sia Jack Brabham che Denny Hulme si ritirarono a causa delle condizioni torride del circuito di Kyalami.

Love dovette però fermarsi ai box per un rifornimento di carburante (la sua vettura non aveva l'autonomia di un intero Gran Premio) e così terminò al secondo posto dietro Pedro Rodríguez in una Cooper ufficiale a motore Maserati, un grosso risultato per un privato in una vettura antiquata. L'anno successivo Love salì di nuovo all'onore della cronaca per aver corso in una Brabham colorata con le insegne della marca di sigarette Gunston, il primo esempio di sponsorizzazione professionale nella Formula 1.




Gran Premio d'Austria 1987
Stefan Johansson, compagno di Prost, fu vittima di un violento incidente, quando investì un cervo incredibilmente entrato in pista a tutta velocità. In questo modo si distrusse la sospensione della McLaren e Johansson andò a sbattere violentemente contro le barriere,
 rompendosi anche una costola.


Ricordo di Depailler

L’1 agosto 1980 Patrick Depailler viene chiamato dall' Alfa Romeo, la scuderia per la quale corre, sul circuito tedesco di Hockenheim per prove di motore in un’annata nella quale la scuderia del Biscione non ha raccolto granchè nelle otto gare del mondiale disputate fino a quel momento (sette ritiri e un non classificato).
Parte il test, il francese va forte, ma una curva beffarda non dà scampo e si porta via la vita di Patrick. Nato il 9 agosto 1944, Depailler dedica quasi interamente la sua carriera automobilistica alla Tyrrell per la quale corre dal 1972 al 1978, poi si trasferisce una stagione alla Ligier e nell’80 finisce all’Alfa Romeo disputando in tutto 95 GP. Due vittorie al suo attivo (Montecarlo '78 e Spagna '79), 10 secondi posti, sette terzi e una pole in Svezia nel 1974.
Pilota che ha dedicato la sua vita alle macchine, ha corso e vinto il titolo in F2 e vinto il G.P. di Monaco di F3, Patrick viene ricordato pure per avere guidato la mitica Tyrrell a sei ruote che non ha raccolto grande successo.
Personaggio spericolato, vide interrotta la carriera sul più bello per un incidente in deltaplano (!) che gli provocò due fratture ad entrambe le gambe e parecchi mesi di inattività. Ritornato, salì sull' Alfa ma i suoi guai non erano ancora finiti..




LOUIS ARMSTRONG ~ When You`re Smilin`~

Le Mans START OF THE RACE. Steve McQueen



Una passione lunga
un giorno





L’edizione del ’69 rimarrà nella storia
   Le polemiche nate sulla pericolosità della procedura di partenza, dove i piloti raggiungevano di corsa le auto parcheggiate a spina di pesce dalla parte opposta della carreggiata sul rettilineo d’arrivo, sfociarono nella protesta di Jacky Ickx, sempre attento alla sicurezza, che per raggiungere la macchina camminò e non corse come tutti gli altri piloti. Lui vinse partendo per ultimo e da quel giorno cambiarono la partenza: “Anziché correre verso la macchina, camminai e di conseguenza partii in ultima posizione.
 Poi non volevo cominciare la Le Mans senza essermi allacciato la cintura di sicurezza, come molti altri piloti facevano per partire più in fretta. Una volta i piloti si affidavano solamente ai loro riflessi. Finalmente stavamo passando dall’era dei cowboy a qualcosa di più ragionevole. E poi il fatto di cominciare per ultimo e finire la gara per primo ha convinto gli organizzatori a cambiare le regole”.



Piazza della Signoria - Firenze Fiesole - Firenze

Firenze Fiesole 25/4/1948
Firenze Fiesole
            Partenza dal Mulino Biondi
Firenze Fiesole
Partenza di Benedetti

Firenze Fiesole 20/4/1952
Ilfo Minzoni su Nardi Danese
Firenze Fiesole 25/4/1948 - Fiat
Firenze Fiesole 16/4/1950
Siro Sbracci su Fiat Ermini 1100 s

La storia della gara Firenze - Fiesole
Nel 1948 Amos Pampaloni, indimenticabile Direttore Generale dell'Automobile Club di Firenze, insieme ad altri due dirigenti particolarmente votati allo sport automobilistico, Roberto Quentin ed il Comm. Sergio Sguanci, dopo aver organizzato con successo l'anno prima il “Circuito delle Cascine” per vetture della categoria sport, ritenne giunto il momento di organizzare anche una cronoscalata.

In quel momento la tradizionale Coppa della Consuma appariva una soluzione ancora impraticabile per le condizioni della strada che a pochi anni dal termine della guerra rimaneva a dir poco disastrata. Si pensò dunque ad un percorso ancor più a portata di mano che consentisse agli appassionati di recarsi ad assistere alla corsa pur con gli scarsissimi mezzi del momento, quasi una sorta di gara nel salotto di casa: la Firenze – Fiesole.

Tracciare oggi la storia di questa corsa non è facile dal momento che sono poche le notizie disponibili anche se risulta che la gara, in alcuni anni fosse titolata per il Campionato sociale dell'Automobile Club Fiorentino.

La prima edizione della Firenze – Fiesole si disputò il 17 Luglio 1938, ma fu riservata alle sole motociclette, oltretutto in versione di serie, e ad un gruppo di piloti non in possesso della licenza di conduttore. La manifestazione aveva infatti l'intento di dare sfogo alla passione velocistica di molti giovani e di avvicinarli allo sport. Per questo fu definita “leva motociclistica”. La gara ebbe un notevole successo anche se pare che nessuno dei valorosi novizi abbia coltivato in seguito l'attività agonistica. La prima edizione automobilistica di disputò invece il 25 aprile 1948 in una splendida giornata primaverile. Il percorso prevedeva la partenza in viale A. Volta all'incrocio con via della Piazzola nei pressi del mulino Biondi; l'arrivo in Piazza Mino da Fiesole. Tuttavia poiché il tempo veniva rilevato in Piazza Edison la base cronometrata era lunga 4,250 Km.

34 concorrenti con vetture appartenenti alle categorie turismo e sport ricevettero il via dall'Onorevole Arrigo Paganelli, allora presidente dell'Aci Firenze, e dallo stesso Amos Pampaloni in veste di direttore di gara. Vincitore assoluto fu Pasquino Ermini alla guida di una barchetta di sua costruzione con il tempo di 2' e 55” alla media di 80,891 kmh., secondo con sette secondi di distacco fu Aldo Benedetti su una Fiat 1100 sport, terzo Giorgio Castelnuovo.

Un anno dopo, il 26 giugno 1949 la ripetizione sullo stesso percorso, ma con il tempo rilevato dal Mulino Biondi per una lunghezza effettiva di una competizione di Km. 5,350. Vinse questa volta Siro Sbraci, valente gentleman fiorentino a bordo di una Fiat 1100 sport con la quale raggiunse piazza Mino da Fiesole in 3' e 15” alla media di 75,594 kmh. Secondo con un ritardo di 5' si classificò Bartolozzi con una Fiat, terzo Aldo Benedetti questa volta con una Alfa Romeo 2500 SS.

Il 16 Aprile 1950 fu invece la Fiat 1100 sport di Otello Biagiotti ad imporsi in 3' e 31” sulle vetture uguali di Siro Sbraci e Bernardo Duse.

L'edizione del 1951, corsa del 22 Aprile, fu la quinta in generale, ma la quarta dedicata alle auto. Quell'anno fra i 68 iscritti risaltò la partecipazione del campione fiorentino Clemente Biondetti con la sua potente Jaguar 3500. Biondetti vinse senza problemi stabilendo in 2'53” e 4 decimi il record della salita rimasto imbattuto, secondo distanziato di oltre 14” fu Renato Nocentini a bordo di una Ferrari marca della quale diventerà concessionario per Firenze e la Toscana; terzo Terigi con la Fiat 1100 S. Sesto assoluto risulta essere stato Carlo Chiti che diventerà direttore tecnico prima della Ferrari e più tardi della Autodelta.

Nel 1952, il 20 aprile, il canto del cigno, contemporamente però alla rinascita di una gara mitica, la Coppa della Consuma. In una tiepida domenica di aprile Attilio Brandi ai comandi di una scattante Ermini 1100, con Biondetti presente solo nella veste di spettatore, sbaragliò l'agguerrita concorrenza tutta fiorentina: secondo fu infatti Ilfo Minzoni sulla Nardi Danese 1500 che oggi appartiene a Marco Masini,terzo fu Siro Sbraci alla guida di una Ferrari 2600, quarto Consolazio con una Fiat 1100 sport.








  INCIDENTI MORTALI DELLA FORMULA UNO

Raymond Sommer francese 10 di settembre 1950 GP della Alta Garonna (Cadours)F. Cooper
Gara
Chet Miller Americano
15 di maggio 1953 500 miglia di Indianápolis Kurtis Kraft
Prove
Carl Scarborough Americano
30 di maggio 1953 500 miglia di Indianapolis Kurtis Kraft
Gara
Charles de Tornaco Belga 18 di settembre 1953 (Modena Aerautodromo) Ferrari
Prove
Onofre Marimón Argentino
31 di Luglio 1954 Gran Premio di Germania Maserati
Prove
Manny Ayulo Americano 16 di maggio 1955 500 miglia di Indianapolis Kuzma
Prove
Bill Vukovich Americano
30 di maggio 1955 500 miglia di Indianapolis Kurtis Kraft
Gara
Eugenio Castellotti Italiano
14 di marzo 1957 (Modena Autodrome) Ferrari
Prove
Keith Andrews Americano 15 di maggio 1957 500 miglia di Indianapolis Kurtis Kraft
prove
Pat O'Connor Americano 30 di maggio 1958 500 miglia di Indianapolis Kurtis Kraft
Gara
Luigi Musso Italiano 06 di Luglio 1958 Gran Premio di Francia Ferrari
Gara
Peter Collins Britannico 03 di agosto 1958 Gran Premio di Germania Ferrari
Gara
Stuart Lewis-Evans Britannico 19 di settembre 1958 Gran Premio di Marrocco Vanwall
Gara
Jerry Unser Americano 17 di maggio 1959 500 miglia di Indianapolis Kurtis Kraft
Prove
Bob Cortner Americano 19 di maggio 1959 500 miglia di Indianapolis Cornis
Prove
Ivor Bueb Britannico 01 di agosto 1959 (Circuit di Charade) Cooper
Prove
Harry Schell Americano 13 di maggio 1960 International Trophy (Silverstone) Cooper
Qualifica
Chris Bristow Britannico 19 di Giugno 1960 Gran Premio del Belgio Cooper
Gara
Alan Stacey Britannico 19 di Giugno 1960 Gran Premio del Belgio Lotus
Gara
Giulio Cabianca Italiano 17 di febbraio 1961 (Modena Autodrome) Cooper
Prove
Wolfgang von Trips Tedesco 10 di settembre 1961 Gran Premio d'Italia Ferrari
Gara
Ricardo Rodríguez Messicano 01 di novembre 1962 Gran Premio del Messico Lotus
Prove
Carel Godin de Beaufort Olandese 02 di agosto 1964 Gran Premio della Germania Porsche
Prove
John Taylor Britannico 07 di agosto 1966 Gran Premio della Germania Brabham
Gara
Lorenzo Bandini Italiano 07 di maggio 1967 Gran Premio di Monaco Ferrari
Gara
Bob Anderson Britannico 14 di agosto 1967 (Silverstone) Brabham
Prove
Mike Spence Britannico 07 di maggioo 1968 (Indianapolis) Lotus
Prove
Jo Schlesser Francese 07 di luglio 1968 Gran Premio di Francia Honda
Gara
Gerhard Mitter Tedesco 02 di agosto 1969 Gran Premio de Alemania BMW
Prove
Piers Courage Britannico 07 di giugno de 1970 Gran Premio d' olanda De Tomaso
Gara
Jochen Rindt Austriaco 05 di settembre 1970 Gran Premio d' Italia Lotus
Qualifica
Jo Siffert Svizzero 24 di ottobre 1971 Brands Hatch Victory Race BRM
Gara
Roger Williamson Britannico 29 di luglio 1973 Gran Premio di Olanda March
Gara
François Cevert Francese 07 di ottobre 1973 Gran Premio degli USA Tyrrell
Qualifica
Peter Revson Americano 30 di marzo 1974 Gran Premio del Sudafrica Shadow
Prove
Helmuth Koinigg Austriaco 06 di ottubre de 1974 Gran Premio degli USA Surtees
Gara
Mark Donohue Americano 19 di agosto 1975 Gran Premio d' Austria Penske
Prove
Tom Pryce Britannico 05 di marzo 1977 Gran Premio del Sudafrica Shadow
Gara
Ronnie Peterson Svedese 11 di settembre 1978 Gran Premio d' Italia Lotus
Gara
Patrick Depailler Francese 01 di agosto 1980 (Hockenheimring)Germania Alfa Romeo
Prove
Gilles Villeneuve Canadese 08 di maggio 1982 Gran Premio del Belgio Ferrari
Qualifica
Riccardo Paletti Italiano 13 di Giugno 1982 Gran Premio del Canada Osella
Gara
Elio de Angelis Italiano 15 di maggio 1986 (Paul Ricard) Brabham
Prove
Roland Ratzenberger Austriaco 30 di aprile 1994 Gran Premio di San Marino Simtek
Qualifica
Ayrton Senna Brasiliano 01 di maggio 1994 Gran Premio di San Marino Williams
Gara
Maria de Villota Spagnola 11 di ottobre 2013 Hotel di Siviglia Spagna. Marussia
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Jules Bianchi Francese 17 di Luglio 2015 Nell'Ospedale, di Nizza Fr. Marussia
Gara




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